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 Progetto Culturale - Punto di vista - Libia, i punti oscuri della crisi 

N° 1 - 23 Febbraio 2011

Libia, i punti oscuri della crisi

di Martino Diez

 

Per capire la questione

Dinanzi alla crisi libica un fatto appare evidente: su quello che sta realmente accadendo non sappiamo molto. In mancanza di informazioni sicure, può essere utile elencare un paio di punti oscuri. Prima di tutto i ribelli. Con il passare del tempo è diventato più chiaro che ci siamo coinvolti in una guerra civile: Cirenaica contro Tripolitania (le due regioni storiche della Libia), divise secondo lealtà di tipo tribale. Ciò non toglie che gli insorti vogliano rompere con una dittatura soffocante e reclamino maggiori libertà, ma suggerisce un quadro un po’ più complesso di «giovani che chiedono la democrazia».
Tanto poco si conoscono i ribelli quanto bene il colonnello Gheddafi. Negli anni scorsi gli si perdonava tutto. Ora si è deciso di presentargli il conto. O meglio, lo ha deciso la Francia, la Gran Bretagna ha acconsentito, gli Stati Uniti hanno lasciato fare, la Germania si è astenuta, l’Italia ha pensato che era un male minore stare dentro piuttosto che stare fuori e la Lega araba ha cercato di mediare tra posizioni contrastanti al suo interno, salvo poi esprimere il proprio stupore (e quello turco) di fronte al fatto che la no-fly zone venisse imposta con l’uso della forza e non con un grazioso schiocco di dita.
Conciliare le varie posizioni ha richiesto tempo e così si sono lasciati affondare i ribelli per poi lanciare con grande precipitazione un intervento militare dai contorni mal definiti. Ufficialmente lo scopo è evitare violenze di Gheddafi su «civili e aree popolati da civili minacciate di attacco nella Jamahiriyya araba libica, Bengasi inclusa». L’unico punto chiaro nella formulazione Onu è la protezione di Bengasi, che è già stata raggiunta. Da lì ci si può allargare al resto della Cirenaica in mano ai ribelli, obiettivo in corso di raggiungimento. Il testo però si presta anche a un’interpretazione più ampia in cui le aree minacciate di attacco vengono a coincidere con l’intera Libia. In altre parole, l’obiettivo diventa la cacciata di Gheddafi.
L’esperienza della Serbia dice che difficilmente si riesce a rovesciare un regime con una serie di raid aerei mirati. Come è già stato ampiamente ricordato, l’Iraq mostra che cosa significa intervenire sul terreno. A decidere l’interpretazione della risoluzione Onu sarà perciò la reale consistenza militare dei ribelli, sempre più armati e riforniti. Se avanzano, si parlerà di guerra per la democrazia. Se non progrediscono, sarà una guerra umanitaria. Una guerra e basta, una guerra d’interesse, sembra brutta al giorno d’oggi.

Martino Diez
Direttore della Fondazione Oasis

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