«Col sostegno di tutti spero di aiutare il cammino lunghissimo della Chiesa ambrosiana a servizio di ogni uomo e ogni donna». Una Chiesa, come mostra il volto multietnico di tanti oratori milanesi, che «sa abbattere tutti i bastioni e accogliere tutti, perché sa proporre un senso»; così concorre a costruire quel «bene sociale» che implica «un appassionato, continuo confronto in vista di un riconoscimento reciproco». La sfida è quella di un «compromesso nobile» fra tutte le passioni e le intelligenze che abitano Milano, perché Milano possa essere «un’oasi», cioè «un crocevia, un luogo d’incontro», il luogo di quel «dialogo profondo» che è «capacità di lasciarsi fecondare dall’ascolto».
È l’appello che il nuovo arcivescovo lancia al mondo della cultura e della comunicazione, incontrato ieri sera nella sede del Museo Diocesano. Davanti al cardinale Angelo Scola, centinaia di persone: i responsabili di università, accademie, fondazioni, musei, istituti di cultura, imprese editoriali, dello spettacolo, della pubblicità, assieme a direttori e responsabili dei giornali, delle radio, delle tivù milanesi.
Enrico Decleva, rettore dell’Università degli Studi, ha denunciato la rottura del legame fra sviluppo e cultura che tanta parte ha avuto nel progresso di Milano, affermando come solo «insieme», con scelte condivise, la città potrà superare i venti della crisi. Una crisi che Gianni Riotta, scrittore ed editorialista de La Stampa , ha stigmatizzato in tutta la sua gravità, nella sua dimensione economica come in quella morale e culturale, paventando la guerra fra poveri e la guerra di tutti contro tutti; ha quindi chiesto a Scola che la Chiesa ambrosiana continui ad accogliere la sete di speranza della città perché Milano sia «l’oasi dove tutti possono lavorare insieme ». Giacomo Poretti, attore, sceneggiatore, regista, componente del celebre trio «Aldo Giovanni e Giacomo », con un intervento travolgente ha raccontato a Scola le ragioni della sua passione di «innamorato di Milano». Infine, echeggiando le parole di Scola nel giorno dell’ingresso in diocesi, gli ha detto: «Io prometto di non perdere di vista Dio, ma lei – possiamo chiamarla sindaco delle anime ? – prometta di non perdere di vista gli oratori». Lo scrittore Ferruccio Parazzoli ha tratteggiato il volto di una «società senza identità », dove «la deriva morale e culturale di un Paese» accade «nell’indifferenza generale». A Milano non sono mai mancati grandi maestri e punti di riferimento «come Turoldo, Lazzati, Giussani, Martini. E oggi? Ce ne sono ancora? Se ci sono, sono invisibili, sommersi dalla società del virtuale e dello spettacolo».
Proprio prendendo spunto dall’«apologia del rischio» tracciata da Parazzoli, Scola ha ribadito come «non esiste libertà senza rischio ». E come – attingendo alla lezione del gesuita Michel de Certeau – «il rischio della libertà deve concretizzarsi nell’impegno di tutti a porre qualcosa di solido». Ed è «insieme» la strada per «costruire qualcosa di solido». In una società plurale ciò richiede la capacità di un «riconoscimento reciproco», di un «compromesso nobile» che edifica il «bene sociale». Milano ha una tradizione in questo, ha affermato Scola richiamando l’immagine di «metropoli illuminata, operosa e solidale » offerta domenica in Duomo: una tradizione che abbraccia l’illuminismo come il movimento operaio di matrice socialista come il movimento sociale cattolico. Un patrimonio di impegno per il bene comune che si è sempre espresso nella «gratuità», poi dilapidato nella stagione del professionismo della politica. Dimensioni da ritrovare, in quella «oasi» di dedizione all’altro, accolto nella sua realtà e verità, che Scola sogna e spera per Milano. E non da solo.