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Noi viviamo in un'epoca in cui sono evidenti i segni del secolarismo. Dio sembra sparito dall'orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti. Vediamo, però, allo stesso tempo, molti segni che ci indicano un risveglio del senso religioso, una riscoperta dell'importanza di Dio per la vita dell'uomo, un'esigenza di spiritualità, di superare una visione puramente orizzontale, materiale della vita umana.
Guardando alla storia recente, è fallita la previsione di chi, dall'epoca dell'Illuminismo, preannunciava la scomparsa delle religioni ed esaltava una ragione assoluta, staccata dalla fede, una ragione che avrebbe scacciato le tenebre dei dogmatismi religiosi e avrebbe dissolto il "mondo del sacro", restituendo all'uomo la sua libertà, la sua dignità e la sua autonomia da Dio. L'esperienza del secolo scorso, con le due tragiche Guerre mondiali ha messo in crisi quel progresso che la ragione autonoma, l'uomo senza Dio sembrava poter garantire. (...)
L'uomo è per sua natura religioso, è homo religiosus come è homo sapiens e homo faber: "il desiderio di Dio - afferma ancora il Catechismo - è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio" (n. 27). L'immagine del Creatore è impressa nel suo essere ed egli sente il bisogno di trovare una luce per dare risposta alle domande che riguardano il senso profondo della realtà; risposta che egli non può trovare in se stesso, nel progresso, nella scienza empirica. L'homo religiosus non emerge solo dai mondi antichi, egli attraversa tutta la storia dell'umanità.
A questo proposito, il ricco terreno dell'esperienza umana ha visto sorgere svariate forme di religiosità, nel tentativo di rispondere al desiderio di pienezza e di felicità, al bisogno di salvezza, alla ricerca di senso. L'uomo "digitale" come quello delle caverne, cerca nell'esperienza religiosa le vie per superare la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena. Del resto, la vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità, alla quale tendiamo tutti, è proiettata spontaneamente verso il futuro, in un domani ancora da compiersi.
Benedetto XVI, 11 maggio 2011
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