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Lavoro, occorre un forte investimento culturale   versione testuale








La vocazione del custodire, secondo le parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia dello scorso 19 marzo, “è il nostro compito futuro”. Ha esordito così monsignor Angelo Casile, responsabile dell’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro, aprendo il 12 aprile scorso l’incontro della Consulta nazionale.
Successivamente, anticipando in anteprima alcuni dati de “Per il lavoro. Rapporto-proposta sulla situazione italiana” a cura del Comitato per il Progetto cultuale della Cei”, che verrà presentato ufficialmente il 13 maggio, Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia all’Università Milano Bicocca, ha osservato che per il lavoro “grande malato dell’Italia”, occorrono “una nuova visione” e “un investimento culturale forte”.
 
Eccessiva rigidezza del mercato, mancanza di seri percorsi di formazione professionale, diffusione del lavoro nero, difficoltà a conciliare tempi del lavoro e della famiglia, progressiva perdita del senso del lavoro: questi, secondo Blangiardo, alcuni “tratti del malessere”. “Il tasso di disoccupazione in Italia - sottolinea - ha avuto un’impennata dal 2007; abbiamo smesso di attrarre flussi migratori e assistiamo a episodi di rientri”. Il Rapporto-proposta invita a riflettere e lancia proposte: “Si richiede anzitutto una grande riflessione sul valore etico-antropologico del lavoro, sul quale si gioca la dignità della persona e la qualità delle relazioni sociali”.
 
Quattro le parti del documento, di cui il cardinale Camillo Ruini firma la prefazione: la dimensione antropologica, il lavoro oggi, attori e problemi, quale futuro. Infine alcune osservazioni conclusive. Nel nostro Paese, avverte Blangiardo, vi sono dei “punti di forza da valorizzare: il made in Italy, le piccole imprese, l’artigianato”. Ma occorre valorizzare anche “il lavoro intellettuale per contrastare la fuga dei cervelli che potrebbero favorire la crescita del nostro Paese o promuoverne l’attrazione”. Altro nodo il lavoro femminile: “Donne che lavorano meno che in altri Paesi e sono sottoutilizzate”. La media Ue del tasso di occupazione delle donne laureate sotto i 40 anni è infatti di 87,9%; l’Italia si colloca al settimo posto con il 78,7%. Nel nostro Paese i Neet (15-29 anni) che non studiano e non lavorano sono quasi 2 milioni, afferma ancora il demografo. Alcuni settori (edilizia, agricoltura e pesca, servizi sociali e alle persone) “sono coperti per lo più da stranieri, oggi cinque milioni”. Il patrimonio demografico, ossia la speranza di vita della popolazione italiana è pari a 2.378,5 milioni di anni in base al censimento Istat 2011. Nelle proiezione a 20 anni, nel 2031, “è di 2.549,7 milioni di anni - osserva Blangiardo -, con un significativo incremento delle persone in pensione rispetto a quelle in attività lavorativa, mentre il progressivo invecchiamento della popolazione è legato alla scarsità di nascite, all’allungamento della vita e al cosiddetto ‘invecchiamento importato’.
 
Per Blangiardo, in Italia “manca una cultura imprenditoriale condivisa tra imprenditori, sindacati, investitori e opinione pubblica; manca una burocrazia sensibile ai problemi del lavoro e alle difficoltà dell’attività produttiva”. Due le questioni cruciali, avverte: “La necessità di riforme strutturali che sappiano conciliare le esigenze dei diversi soggetti e, in parallelo, la necessità di promuovere una maggiore competitività del nostro sistema produttivo anche con incentivi al merito”. Occorre inoltre “tentare di operare una riconciliazione tra tempi del lavoro e della famigli”.
 
Nei nostri giovani, secondo il demografo, bisogna incoraggiare “una maggiore fiducia nel futuro, una maggiore disponibilità al rischio e all’impegno per sé e per gli altri”. Ma occorre preoccuparsi anche della loro formazione “sollevando l’urgenza di rilanciare il ruolo fondamentale del lavoro intellettuale e offrendo loro una corretta informazione per aiutarli a scegliere corsi di studi effettivamente spendibili nel mercato del lavoro”. “Insegnanti demotivati e mal pagati sono un danno che oggi nessuna società può permettersi”, è l’ulteriore monito di Blangiardo. Di qui l’auspicio di “un investimento culturale forte che coinvolga istituzioni, imprese, sindacati, ma anche scuola famiglia, parrocchia e mondo della comunicazione”. Occorrono insomma “liberare il mercato del lavoro, garantire più formazione, elaborare una nuova idea di produttività, promuovere una nuova cultura del merito, investire nel patrimonio artistico” investendo non solo le “nostre risorse economiche ma anche tutta la nostre ricchezza culturale e umana”.
 
 
ultimo aggiornamento 15/10/2015