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 Per il lavoro - Prefazione del card. Ruini 

Prefazione del card. Ruini   versione testuale








 Dopo quelli sull’educazione e sulla demografia, il Comitato della CEI per il progetto culturale pubblica un terzo Rapporto-proposta, dedicato al lavoro. Continua così il tentativo di affrontare i principali nodi problematici che caratterizzano la condizione attuale dell’Italia, con un duplice intento, conoscitivo e propositivo. Si cerca cioè di descrivere la situazione e di individuare le cause delle sue difficoltà, ma anche di offrire dei suggerimenti in vista di possibili e auspicabili sviluppi positivi.
 
 
Un primo dato – in certa misura ovvio – che emerge dai tre volumi citati è l’intima connessione e interdipendenza che esiste tra la qualità dell’educazione, l’andamento demografico e le dinamiche del lavoro. Più specificamente, in ciascuno di questi ambiti si profila un significativo paradosso: quanto maggiori e più favorevoli sono le possibilità e le opportunità che sembrano disponibili, tanto minori, più stentati e precari risultano invece gli esiti a cui si perviene. In particolare riguardo al lavoro il paradosso si manifesta sotto almeno due profili: crescono a ritmo esponenziale le tecnologie di cui ci avvaliamo e tuttavia si registra non una crescita della ricchezza ma un impoverimento complessivo dell’Italia; diminuisce nella popolazione italiana la percentuale dei giovani e aumenta contemporaneamente la disoccupazione giovanile. Le cause di questi paradossi sono da tempo oggetto di molti studi e dibattiti, che questo Rapporto-proposta prende puntualmente in esame. Rimane tuttavia l’impressione che si tratti di patologie radicate e difficilmente superabili.
 
È evidente, e viene continuamente richiamato, l’influsso esercitato su questi fenomeni dagli enormi cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni nel contesto mondiale: l’Europa e forse tutto l’Occidente stanno rapidamente passando da una condizione di centralità nell’economia mondiale a una condizione che rimane rilevante ma non è più centrale. Questo progressivo declassamento non va interpretato in termini di «scontro di civiltà», bensì come uno stimolo ad adeguarsi ai mutamenti, trovando in essi nuove opportunità di scambio e di sviluppo. È però innegabile che proprio un simile adeguamento costituisce per i paesi europei, e in particolare per l’Italia, una sfida assai impegnativa, che rimette in discussione parametri non solo economici ma sociali, culturali ed esistenziali che sembravano acquisiti una volta per tutte. Senza una vera disponibilità a rimettersi in discussione temo che la sfida sarebbe perduta, con conseguenze estremamente pesanti.
 
Siamo invitati così a spostare l’attenzione dai fattori esterni a quelli interni delle difficoltà del lavoro in Italia. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Laborem exercens (nn. 4-10), aveva insistito sulla distinzione tra lavoro in senso oggettivo e lavoro in senso soggettivo e sul primato di questo secondo aspetto, cioè di quel soggetto del lavoro che è l’uomo in quanto persona, al di là di tutta la strumentazione tecnologica attraverso la quale il lavoro si esprime. Ponendo nella dimensione antropologica la chiave interpretativa di tutta la sua indagine, il nostro Rapporto-proposta è molto vicino all’approccio di Giovanni Paolo II. A mio parere è proprio nell’incontro-scontro tra la dimensione soggettiva e antropologica del lavoro e quello che possiamo indicare come «il principio di realtà» che si decide, in larga misura, il successo o l’insuccesso dell’Italia nel far fronte alla sfida posta dai mutamenti del contesto mondiale. Si tratta, cioè, di interpretare e vivere la nostra soggettività, non principalmente come generico soddisfacimento delle pulsioni e aspirazioni, bensì come effettiva costruzione del soggetto, che può realizzarsi soltanto in stretta connessione con la realtà in cui viviamo. In concreto, gli italiani, e in particolare i giovani, che sono attualmente i più penalizzati quanto alle possibilità occupazionali e al tempo stesso i più sensibili alle istanze della soggettività, dovrebbero anzitutto cercare e accettare, o costruire, le occasioni di lavoro esistenti o possibili, anche se per loro non adeguate e non soddisfacenti, e poi – su questa base – sforzarsi di cambiarle e migliorarle, creando così effettive possibilità di scelta e di espansione della propria soggettività. Questa sembra essere la via per un reale e non velleitario rafforzamento del soggetto.
 
Una valutazione di tal genere sottintende chiaramente che il soggetto stesso sia concepito non in termini astrattamente individualistici, ma piuttosto come strutturalmente relazionale: come colui, dunque, che si realizza in costante interdipendenza con gli altri soggetti e con l’intero ambiente in cui vive. Perciò l’enciclica Laborem exercens (n. 10) vede nella famiglia e nella nazione i due contesti essenziali della formazione e dello sviluppo del lavoratore, che nel ricevere da essi e nel contribuire ad essi cresce e afferma se stesso. Il Rapporto-proposta mostra come tutto ciò valga a pieno titolo per la situazione presente, in rapporto alla famiglia ma anche al nostro sistema-paese: le debolezze di quest’ultimo sono infatti una delle principali ragioni della crisi del lavoro in Italia.
 
Le problematiche del lavoro, come quelle dell’educazione e della demografia, sono parte costitutiva della sollecitudine pastorale della Chiesa, che concepisce la propria missione come finalizzata alla salvezza e pertanto al bene integrale dell’uomo. In particolare per il lavoro, una nuova attenzione e anche uno sforzo di elaborazione dottrinale si sono sviluppati negli ultimi due secoli, in rapporto alla moderna questione sociale, e hanno trovato la loro più autorevole espressione in numerose Encicliche sociali, dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891) alla Caritas in veritate di Benedetto XVI (2009). Tra queste, come ho già detto, la Laborem exercens riveste uno speciale interesse per questo Rapporto-proposta, perché mette a tema il lavoro in quanto tale, anzitutto sotto il profilo antropologico. Gli insistiti richiami del presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, alla crisi del lavoro in Italia confermano d’altronde quanto sia forte, nella Chiesa italiana, la preoccupazione per questo fondamentale aspetto della vita delle persone e della società.
 
Termino esprimendo una convinzione che mi accompagna da molto tempo. Un effetto benefico del travagliato e anche contraddittorio affermarsi dello spirito democratico nella nostra epoca è la progressiva generalizzazione del concetto di lavoro, fino a comprendere le attività rivolte a far avanzare le frontiere della conoscenza e quelle dedicate al governo delle imprese, anche da parte dei loro proprietari. Quando questo allargamento sarà penetrato nel sentire comune si sarà compiuto un significativo passo in avanti per la costruzione di una società in cui tutti si sentano insieme responsabili e artefici di un comune «banco di lavoro» (Laborem exercens, n. 15), dilatato a misura dell’umanità.
 
 
 
 
 
 
 
 
ultimo aggiornamento 15/10/2015