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 XI Forum del Progetto Culturale - Processi di mondializzazione opportunità per i cattolici italiani - Area Stampa - News - Cattolici e mondializzazione:
all'altezza di una sfida 

Cattolici e mondializzazione:
all'altezza di una sfida   versione testuale

Le conclusioni del Card. Camillo Ruini all'XI Forum del progetto culturale








Il card. Camillo Ruini, ha concluso oggi l’XI Forum del Progetto culturale svoltosi a Roma sul tema “Processi di mondializzazione opportunità per i cattolici italiani”. “La verità salvifica, per il cristianesimo – ha detto il presidente del Comitato della Cei per il progetto culturale - non è qualcosa di costruito da noi, ma qualcosa di ricevuto in dono e qualcosa di escatologico. Perciò processi di mondializzazione costituiscono per il cristianesimo una grande opportunità di affermarsi storicamente come il loro miglior interprete. La vera domanda di fatto è se il cristianesimo è realmente in grado di fare questo”.
 
La mondializzazione, ha affermato il cardinale, “è un’opportunità che rimane per noi una sfida non eludibile, e di fronte alla quale dobbiamo cercare di essere all’altezza, confidando nel primo - segreto ma decisivo - attore della storia, nostro Signore, che troppo spesso nel nostro operare in concreto anche noi mettiamo tra parentesi”. I passi salienti dell’intervento del card. Ruini sono stati raccolti per il Sir da Maria Michela Nicolais.
 
Le insidie della tecnica. “La globalizzazione a priori non è né buona né cattiva, sarà ciò che le persone ne faranno”. Il cardinale ha esordito citando la Caritas in Veritate (n. 42), per evidenziare come “questa problematicità è entrata far parte della ita quotidiana: c’è una crisi economica maggiore ed c’è anche una difficoltà concreta nella coesistenza di diversi in un unico territorio, in Paesi come l’Italia. La mondializzazione è una tendenza di sempre, ma oggi sta raggiungendo il mondo intero con una intensità nuova”. Il “fattore decisivo” per questa “nuova fase”, secondo il card. Ruini, è “lo sviluppo scientifico e tecnologico, che ha aperto nuove possibilità all’economia. Perciò la domanda di fondo verte sul rapporto della scienza e soprattutto della tecnica, con l’uomo come soggetto”. Sempre nella terza enciclica del Papa (CV n. 69), si legge che “la tecnica è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo”, ed in essa “si esprime e si conferma l’autonomia dello Spirito sulla materia”. “Ma è proprio così?”, si è chiesto il cardinale. “Forse è troppo semplice – la risposta - dire che la tecnica come tale si occupa solo di mezzi e non di fini”, perché “ha un suo fine intrinseco che è il potere legato al sapere scientifico, da Bacone in poi. Il potere, come il sapere, è una finalità umana primordiale, ma il potere a differenza del sapere, che è anche un fine in se stesso, sembra essere per sua natura ordinato a fini ulteriori, fosse anche soltanto all’affermazione di sé”. Tra questi, “molto rilevanti sono quelli economici, quelli politico-militari, ma anche la salute e la qualità della vita e in genere lo sviluppo umano, personale e collettivo, che sempre sottintende un’interpretazione dell’uomo”. A sua volta, ha fatto notare il cardiale, “questa interpretazione non può prescindere dalle grandi alternative, come quella fra l’emergere o il ridursi alla dimensione della natura. Sembra vero dunque che la tecnica è legata alla libertà dell’uomo: c’è una reciprocità, un legame intrinseco”.
 
Comunicazione e identità. “Sembra che l’anima valoriale della mondializzazione sia la comunicazione”, ha affermato il cardinale citando un recente intervento del card. Scola. In concreto, però, “altrettanto originale alla tendenza alla comunicazione è la tendenza all’affermazione della propria identità, che non è da assimilare alla in maniera frettolosa con la chiusura in se stesso, ma con la realizzazione del soggetto personale e collettivo, nell’affermazione del soggetto nella sua ineliminabile e positiva originalità. La dialettica tra comunicazione è identità sembra essere parte costitutiva dei processi di mondializzazione come storicamente si pongono”. Un “contributo molto importante”, in questo senso, viene dalla Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, “fondata sulla dignità della persona e non sulla non conoscibilità della verità in materia religiosa, non quindi sull’indifferenza delle diverse religioni. Si possono tenere insieme l’identità cristiana, con la rivendicazione di verità che quest’identità comporta, e il riconoscimento reciproco sul piano umano, sociale e politico”. Di qui la necessità, per il cristianesimo, di “condurre una lotta su un doppio fronte: da una parte con il laicismo occidentale, che interpreta la libertà come frutto di carenza di verità, e dall’altra con il tradizionalismo cattolico, che come l’Islam radicale e altre tendenze, afferma la verità negando la libertà”. “Dobbiamo affermare nella storia questo concetto messo a punto Concilio”, l’imperativo del cardinale, partendo dalla consapevolezza che la “radice” della questione della libertà religiosa è “nella necessità della convivenza e nel valore della comunicazione, che diventano con il cristianesimo l’imperativo centrale del comandamento dell’amore del prossimo come di sé stessi”. “Il cristianesimo è inclusivo”, ha ribadito il card. Ruini citando il primo libro di Benedetto XVI su Gesù di Nazareth, in cui il Papa ricorda che “già nell’Antico testamento la fede in Jahvè era legata alla solidarietà verso i più deboli”. Un “contenuto centrale”, questo, che “per gli stessi cristiani non è storicamente acquisito: solo il metterlo in pratica li rende storicamente attendibile”. Ma anche “la rivendicazione della propria verità, come verità oggettiva e salvifica per tutti, è costitutiva del cristianesimo ed è la base del suo universalismo missionario”.
 
Il miglior interprete. Tra le diverse forme di cristianesimo, la tesi di fondo del cardinale, il cattolicesimo è il “meglio attrezzato” per svolgere questo compito, perché “il protestantesimo ha manifestato notevoli cedimenti nel profilo dell’identità cristiana, mentre i cosiddetti cristiani ‘rinati’ rimangono insidiati dal rischio di chiusure settarie”. L’ortodossia, invece, “è più debole sul piano della missione universale, perché tende a concepirsi di fatto come la religione di determinati popoli”. “Questo non significa che non dobbiamo ricercare una sinfonia ecumenica – ha precisato il cardinale - ma che abbiamo particolari responsabilità per tenere insieme l’identità e l’apertura universale”. Oggi, per il card. Ruini, “si ripropone però la domanda se il cattolicesimo esistente, reale, tenga insieme effetti la comunicazione, l’amore universale e la rivendicazione della verità salvifica”, vista la “divaricazione” segnalata dal Papa nella “sensibilità morale dell’odierno Occidente”. Anche il giudizio sull’Europa, a questo proposito, è “double face”: “L’Europa – ha spiegato il cardinale - è un modello di governance per la mondializzazione, ma anche delle difficoltà e dei rischi insiti nel tentare di governare la globalizzazione”. L’attuale crisi dell’Europa “è strutturale, non soltanto dovuta ad alcuni errori. C’è qualcosa di più profondo. Non so se andiamo verso il superamento di questi problemi o verso una loro accentuazione”, ha concluso il cardinale esortando ii cattolici italiani ad assumersi la “responsabilità specifica che deriva dal loro ruolo di ‘difendere il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo’”, ruolo a cui si aggiunge “la loro forte presenza missionaria in Africa, Asia e America Latina”.
 
 
ultimo aggiornamento 15/10/2015