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Il bene della specie umana? Un succedersi equilibrato di generazioni   versione testuale

Intervista al prof. Francesco D'Agostino








Il prof. Francesco D’Agostino è professore ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, e codetiene  la cattedra di Filosofia del diritto alla LUMSA e alla Pontificia Università Lateranense. Editorialista di "Avvenire", a lui abbiamo rivolto alcuni quesiti in merito ad aspetti particolari del Rapporto-proposta “Il Cambiamento demografico”.
 
Il rapporto-proposta sul cambiamento demografico mette in evidenza il cambio di paradigma della paternità e della maternità all’interno della cultura contemporanea. Quali i rischi e quali le conseguenze di una messa in discussione di questi termini nell’ambito del diritto?
Ciò che spesso non viene evidenziato dalle indagini sociologiche, statistiche e demografiche è che questo mutamento di paradigma non va interpretato né come una tappa di una pretesa (e inesistente) evoluzione - culturale, sociale, spirituale o come la si voglia pensare del genere umano - né a maggior ragione come un destino ineluttabile. La crisi del paradigma “tradizionale” della paternità e della maternità si è determinata per il sovrapporsi e il reciproco fecondarsi  di diversi fattori, alcuni da salutare con compiacimento (ad es. il nuovo ruolo sociale acquisito nel mondo contemporaneo dalle donne) altri invece da stigmatizzare, perché antropologicamente non autentici. Si pensi, ad esempio alla pervasività dell’ideologia individualistica, che non riesce a cogliere i valori umanizzanti dell’esperienza familiare e inter-generazionale e riduce la procreatività, da dimensione caratterizzante nel profondo l’essere dell’uomo, ad una mera scelta soggettivistica e insindacabile. Ecco perché la rilevazione dell’inverno demografico non costituisce soltanto un dato scientificamente e rigorosamente accertato, ed assiologicamente neutrale, ma il presupposto perché vengano attivate di nuove e indispensabili politiche sociali, aperte alla promozione della familiarità feconda.

L’allungamento della vita è un altro degli aspetti trattati. L’idea attuale di “vecchiaia” è totalmente inconciliabile con quella del passato. Quali spazi di operatività sociale possiede la bioetica sotto questo profilo?
Grazie alla migliore alimentazione, alla sconfitta delle malattie infettive, ai progressi della biomedicina la terza e la quarta età hanno acquistato un nuovo e straordinario rilievo demografico e conseguentemente economico, politico e sociale. La tradizionale immagine associata alla vecchiaia (senectus ipsa morbus) è ormai del tutto obsoleta. Di qui alcune esigenze ineludibili, di cui la bioetica è chiamata a farsi carico: l’invenzione e l’attivazione di nuove modalità di integrazione degli anziani nell’ordine sociale;  la programmazione di nuove forme di assistenza extra o para-familiare dei grandi anziani (gli oldest old); un’intelligente riformulazione dei protocolli di assistenza per evitare i due massimi rischi che incombono sugli anziani nel XXI secolo: quello dell’accanimento terapeutico a carico dei lungo-degenti e quello dell’abbandono terapeutico soprattutto nei casi in cui gli oneri economici per la loro assistenza divengano intollerabili.

Il Rapporto sceglie un approccio che tiene costantemente unito il dato demografico con la riflessione antropologica. Qual è la novità propositiva che accompagna questo criterio di analisi?
Il Rapporto-proposta è metodologicamente esemplare. Infatti, anche se è tramontata da tempo l’idea della neutralità assiologica delle scienze umane, resta che il più delle volte i dati demografici vengono raccolti o senza alcuna attenzione alla loro rilevanza antropologica, o con l’intenzione nascosta e ideologicamente orientata di renderli funzionali a progetti politici di parte. Si vedano, ad es.empio le pagine del Rapporto dedicate alla rilevazione anagrafica delle dinamiche dell’aborto volontario in Italia, dopo l’approvazione della legge 194. Nel Rapporto, invece, si assume senza timidezze e senza occultamenti che il bene della specie umana sia nel succedersi equilibrato delle generazioni e che questa dimensione di bene sia percepibile non attraverso pre-comprensioni ideologiche, ma in base alla lettura fredda e spassionata degli stessi dati demografici. Non è cosa da poco: anzi è un raro esempio dell’unico modo corretto di fare scienza.
 
 
ultimo aggiornamento 15/10/2015