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Quest'Italia senza figli   versione testuale

Gianfranco Marcelli, Avvenire, 15 settembre 2011








L’ illusione sembra infine svanita. La spe­ranza di una ripresa delle nascite in I­talia, coltivata dopo la metà degli anni 90 grazie al robusto e crescente contributo del­l’immigrazione, si infrange ora contro il 'report' diffuso ieri dall’Istat. Negli ultimi due anni l’e­rosione complessiva della natalità e della fe­condità è ripresa in misura generalizzata su tut­to il territorio. Non c’è più – stava scomparen­do già da tempo – un Sud più prolifico, a com­pensare l’isterilimento dei genitori centroset­tentrionali. C’è ancora, ma in misura sempre più ridotta e di fatto insufficiente, l’effetto com­pensativo di madri e padri stranieri più propensi a mettere la mondo figli.

Questa la nuda verità delle cifre, che illustriamo nel dettaglio all’interno del giornale. Gli altri fe­nomeni salienti, registrati sul piano statistico, meritano di certo accurate riflessioni, ma non mutano il segno complessivo dell’evoluzione demografica nazionale. Semmai accrescono la preoccupazione per la tendenza di fondo della nostra società, che da tempo attraversa una fa­se di demoralizzato ripiegamento su se stessa, causa non certo ultima della persistente diffi­coltà a reinnescare un ciclo di sviluppo econo­mico degno di questo nome.

Vediamo ad esempio enfatizzare in queste ore il peso sempre maggiore dei figli nati fuori dal matrimonio, che in media sono ormai quasi uno su quattro, ma in certe aree si avvicina­no al 30 per cento. Al di là dei giudizi di valore che si vogliono alimentare su una presunta 'modernizzazione' della nostra struttura sociale, i numeri dimostrano che una simile evoluzio­ne non contribuirà certo e rovesciare l’andamento della popolazione, anzi ha tutta l’aria di volerlo peggiorare. Le ragioni sono probabilmente molte­plici ma, anche solo a livello intuiti­vo, è comprensibile che la preferenza per scelte familiari 'di fatto' si co­niughi, almeno come inclinazione psicologica di fondo, a una maggiore 'prudenza' nel moltiplicare le nasci­te.

A maggior ragione, anche l’aumento inesorabile dell’età media in cui le donne italiane diventano madri, può solo giocare contro ogni ipotesi di ri­torno a quozienti di fecondità accet­tabili: la natura ha le sue leggi e i suoi ritmi biologici, sui quali nessuna tec­nica artificiale può influire fino al pun­to di rovesciarli. La sommatoria di queste evidenze si presta purtroppo a supportare gli al­larmi che continuamente vengono lanciati, anche da queste colonne, sul­le nostre prospettive di medio e lun­go termine in campo economico, so­ciale e culturale. È chiaro che lo 'spread demografico' negativo con i Paesi in crescita, non può che impo­verire la nostra capacità di produrre e la necessaria spinta all’innovazione che, da sempre nella storia, si ac­compagna ritmi di espansione fisio­logici delle popolazioni.

In giorni roventi come questi, segnati da un di­battito acceso sulle manovre di rientro dai de­ficit pubblici, destinati a pesare il doppio sui no­stri figli e nipoti che nascono a ritmi dimezzati rispetto a quelli di mezzo secolo fa, vale poi la pena di chiedersi quale impatto stanno conti­nuando ad avere le nostre abitudini procreati­ve sul futuro previdenziale del Paese. Un im­patto silenzioso, che pochi sono disposti a co­gliere, ma non per questo irrilevante. A che ser­ve chiedersi se intaccare, e in che misura, certi diritti pensionistici, se si trascura di valutare l’ef­fetto finanziario dei nuovi 'passivi' accesi nei bi­lanci delle anagrafi comunali?

Questo stillicidio, apparentemente impercetti­bile, di culle che si svuotano somiglia sempre più al cronicizzarsi di una malattia di fondo, che mi­naccia di diventare incurabile. La decisione di 'disinvestire' nel capitale umano del nostro Pae­se non è frutto di una strategia decisa a tavoli­no da un ristretto gruppo di esperti, ma la con­seguenza di un clima di sfiducia che si insinua sottilmente tra la gente. Soprattutto fra quei gio­vani dai quali solo si può attendere il coraggio e la generosità di diventare genitori. A condizio­ne, è ovvio, di non continuare a frustrarne le speranze con scelte politiche disattente o incu­ranti della famiglia e dei figli. Scelte miopi e, o­ra lo constatiamo di nuovo, scelte suicide.
 
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ultimo aggiornamento 15/10/2015