L’immensa area dell’Expo di Milano dall’alto ha la forma di un pesce, da dentro trasmette la sensazione di un’isola. Un’isola felice, di colori, musiche, popoli, tradizioni e, soprattutto, cibi. Il primo maggio, giorno dell’inaugurazione, la sensazione di trovarsi in un’altra città, in un’area protetta e per certi aspetti privilegiata, è stata netta: mentre la Milano di sempre faceva i conti con la coda violenta del corteo no-Expo, la Milano dei nuovi padiglioni viveva una giornata di festa, curiosità, musiche e degustazioni.
Uno spettacolo universale in ogni senso, quello della seconda Milano, costruita grazie al genio di tanti, soprattutto grazie al genio, alla competenza e al lavoro di italiani, degno in ogni sua parte del tema ambizioso che l’ispira: «Nutrire il pianeta, energia per la vita». La dimensione di “città parallela” dell’Expo non può essere biasimata, è l’originalità e il bello dell’esposizione. La magia unica dello spazio protetto è un aspetto importante se si pensa a quanto abbiamo bisogno di trovare simboli e occasioni forti per spezzare la linea della sfiducia e della negatività che la crisi continua a tracciare. Questo isolamento necessario può però rappresentare un grande limite, fino a svuotare l’Expo di ogni significato e promessa. Quella di Milano è la prima esposizione universale ad aver attirato un così alto numero di Paesi africani, è la prima a ospitare un padiglione interamente dedicato alla società civile, è l’evento che al suo termine proporrà al mondo la sottoscrizione di una Carta di impegni per sconfiggere la fame nel mondo in una dimensione di sostenibilità e rispetto per l’ambiente.
C’è tuttavia un solo modo autentico perché tutte le migliori intenzioni e l’ambizione del tema possano dare i frutti sperati. È sforzarsi di mettere in pratica l’invito che papa Francesco ha consegnato nel discorso per l’inaugurazione definendo l’Expo «un’occasione propizia per globalizzare la solidarietà»: è avere «coscienza dei volti», i volti di quei «milioni di persone che oggi hanno fame e non mangeranno in modo degno di un essere umano». Non solo averne coscienza, di più: «Percepire la presenza nascosta di quei volti, pensare all’umanità che ha fame, che per la cattiva alimentazione si ammala o muore», non dimenticare mai la «moltitudine di bambini che muoiono di fame nel mondo».
Siamo tanti sulla terra, 7 miliardi: c’è chi dice troppi, senza sapere che produciamo cibo per 12 miliardi di persone, sprecandone una quantità immensa, e lasciando che 800mila abitanti del pianeta soffrano la fame. L’umanità ha tutti i mezzi, le capacità e l’intelligenza per affrontare e vincere questa sfida, trasformandola in «energia per la vita», non in un progetto di morte. Ma è difficile che qualcosa possa cambiare se varcando i cancelli dell’Expo non avremo il coraggio di pensare a quei volti che gridano giustizia. E a fare un passo ulteriore, per quel «cambiamento di mentalità» che ha chiesto il Papa, svolta necessaria a frantumare abitudini, pigrizie, automatismi e incrostazioni degli stili di vita: «Smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane, ad ogni grado di responsabilità, non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame».
L’Expo di Milano, con 150 punti per mangiare, è il più grande ristorante del mondo, dalle architetture meravigliose e a forma di pesce, l’antico simbolo dei cristiani. Può restare solo un ristorante, un circo luminoso, come vorrebbero in tanti, compresi antagonisti e "black bloc" interessati a mantenere viva la ragione del loro conflitto. Ma può diventare molto di più. Decisivo, ha suggerito Francesco, è che tutto parta da lì, dalla percezione chiara di «quei volti» di uomini e di donne.