I primi giorni dell’anno ci trovano sempre a scrutare – tra speranza e preoccupazione – ciò che ci attende, per cogliere i segni di un tempo che si apre. È una realtà che appartiene alla nostra condizione di esseri umani, sempre protesi ad anticipare un futuro che pure spesso ci sorprende. Guardando in tale prospettiva al 2015 appena iniziato, non si può esimersi da una puntuale meditazione sulla custodia del creato. Ci richiama in tal senso, fin dai suoi primi passi, il magistero profetico di papa Francesco, che all’ecologia dedicherà la sua prossima enciclica. Ci orienta nella stessa direzione l’attualità politica: saranno dodici mesi di forte attenzione per il mutamento climatico, in vista delle decisioni (strategiche per il futuro del pianeta) che saranno prese a Parigi nella Conferenza internazionale del prossimo dicembre. Anche la traccia “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, che accompagna il cammino verso il Convegno ecclesiale di Firenze 2015, cita più volte il creato come area importante. È un invito alla Chiesa italiana ad assumere profondamente tale dimensione nel proprio vissuto, come già accade, del resto, in tante significative esperienze presentate nel sito dello stesso Convegno ecclesiale. Nella figura di umanità ispirata dalla fede in Gesù Cristo vive un amore per la famiglia umana ampio, attento anche alla terra su cui essa cresce e fiorisce. Confessare il Signore, del resto, è anche cogliere il mondo come creazione, realtà preziosa, donata per la vita, meritevole di attenta custodia.
Lo richiama la stessa città di Firenze, icona di una bellezza che nasce dallo splendore della natura, ove assunto in un operare culturale che non lo distorce, ma lo sviluppa e ne dispiega le potenzialità. Lo richiama, d’altra parte, il drammatico degrado che tocca la terra quando le sue dinamiche sono asservite ad una sete di profitto senza rispetto né legalità: tante qui le dolorose icone, da Taranto alla Terra dei Fuochi, periferie esistenziali di malattia e di morte. Davvero non possiamo ignorare l’ecologia umana; lo stesso tema dell’Expo milanese (la poderosa sfida del «nutrire il pianeta») evidenzia quanto profondamente la possibilità di vita buona per uomini e donne si intrecci con la custodia di una terra abitabile, fertile, vivificante.
La sfida è, dunque, quella di un’esigente «conversione ecologica» (Giovanni Paolo II), che trasformi tante dimensioni del nostro cuore e del nostro operare. Dovrà essere una conversione degli atteggiamenti: ritrovare quello sguardo con cui tanti santi in Oriente ed in Occidente – da Francesco d’Assisi a Serafino di Sarov – hanno contemplato la creazione di Dio vivendo la fraternità creaturale. Dovrà essere conversione degli stili di vita: dire basta a una cultura dello scarto impregnata di spreco e di sovraconsumo, per vivere una sobrietà attenta alla giustizia e alla sostenibilità. Una conversione delle pratiche: promuovere coraggiose opere-segno, per la cura della Terra, per l’educazione all’ecologia umana. Una conversione, infine, del pensiero: un discernimento attento ai diversi aspetti della sfida ambientale (economici, scientifici, politici…), per articolare la necessaria assunzione di responsabilità. Davvero vivere l’umanesimo in Gesù Cristo significa anche ascoltare ed interpretare il gemito del creato e quello di coloro che lo abitano, i poveri in primis.
Conversione è sempre novità, movimento, uscita; quella ecologica, però, è anche invito ad abitare una dimensione profondamente tradizionale. Da sempre, infatti, nella liturgia celebriamo e annunciamo la fede nel Padre Creatore, di cui in questo tempo siamo chiamati a dispiegare potenzialità talvolta rimaste sotto traccia. A dispiegarle, però, in un dialogo attento, capace di ascoltare ed apprendere – secondo l’indicazione offertaci mezzo secolo fa da Gaudium et Spes – anche dalle altre confessioni cristiane, dalle fedi dell’umanità, da tanti uomini e donne che amano la terra.