Può darsi che il peggio della crisi sia passato, e che il punto più basso sia stato toccato. Quasi la metà degli italiani, nonostante tutto, incomincia a pensarlo. E questo è un buon segno. Tuttavia il passaggio da una crisi che sembra "alle spalle" a una ripresa capace di rimettere in piedi l’Italia non è rapido né scontato. A mancare è una delle condizioni di base, la più importante: la fiducia delle famiglie. Nel suo rapporto sulla situazione sociale del Paese presentato ieri il Censis ha usato un’immagine fortissima, ma efficace, quella di un’Italia «ripiegata su se stessa», impaurita e vulnerabile dopo anni di difficoltà. Quasi stremata, sfiancata dai troppi colpi subiti. Dove i giovani sono umiliati nelle loro aspirazioni, le persone più sole, e gli adulti terrorizzati dalla possibilità di ritrovarsi poveri da un momento all’altro.
Il quadro in effetti non è molto rasserenante. Se il 60% della popolazione vive nella paura di sprofondare nella povertà, quasi un virus che può contagiare chiunque, diventa difficile immaginare di invertire il ciclo in breve tempo, pur con tutto l’impegno che la politica ci può mettere. In un paese in queste condizioni è persino scontato che finiscano per prevalere un approccio "attendista" nelle scelte economiche e un atteggiamento di "cinismo" nella vita sociale. In tal senso ci sono due dati singolarmente coincidenti tra i vari spunti forniti dal rapporto che rendono l’idea della condizione di precarietà generale. Il primo dice che 8 italiani su 10 oggi gestiscono i propri risparmi tenendoli a disposizione per poter far fronte a spese impreviste o per sentirsi al sicuro e con le spalle coperte. Il secondo che, ancora, per 8 italiani su 10 il drammatico calo della natalità, che comprime ogni possibile visione di futuro, è conseguenza delle ristrettezze economiche.
Nella valutazione del Censis la soluzione per superare lo stallo è affidata all’esigenza di un salto di qualità della politica, incaricata di liberare le molte energie positive presenti, ma chiuse in "giare" pirandelliane. Ora, volendo trovare un contenuto da attribuire a una rinnovata azione politica, ci sarebbe molto da attingere dal messaggio che il Papa ha consegnato proprio ieri ai partecipanti al Festival della famiglia di Riva del Garda. «Il preoccupante andamento demografico richiede una straordinaria e coraggiosa strategia in favore delle famiglie – ha suggerito Francesco –. Da qui può iniziare anche un rilancio economico per il Paese».
Il punto è che queste semplici parole non hanno solo una valenza culturale, ma anche un reale significato economico. È quello che molti economisti di casa nostra si ostinano a non riconoscere o quantomeno a non evidenziare nelle analisi sulla crisi e le possibilità di ripartenza. Chiedere, come ha fatto il Papa, di aiutare le persone a gestire «i rapporti tra vita professionale e vita familiare», ricordare la missione delle famiglie suggerendo «sinergie tra pubblico e privato, tra imprese e famiglie» per favorire la conciliazione tra tempo di lavoro e tempo libero di vita, e poi incoraggiare ancora l’elaborazione di «politiche familiari» e «porre attenzione all’occupazione femminile» significa aiutare a definire un ordine alle priorità.
Quello che manca nelle analisi economiche e sociali nell’Italia di oggi è proprio la capacità di porsi la domanda corretta. Che non parte dal chiedersi cosa fare per ripartire, bensì cosa fare per ripartire di fronte a una popolazione che invecchia e decresce. Perché è questo, la denatalità, il vero dato critico che blocca la vecchia Europa, condanna il Giappone e ora spaventa anche gli Stati Uniti, come tutte le analisi internazionali suggeriscono. Politiche del lavoro attente alle famiglie sono la prima risposta che un economista dovrebbe dare agli interrogativi sulla possibilità di ripresa, economica e sociale. Nell’accennare a questi temi, il Papa ieri ha usato parole inedite riferite all’occupazione femminile e alle donne (e ai loro diritti) impegnate nel lavoro, nella famiglia e nella società, per il «contribuito impareggiabile» che danno, descrivendole però anche «affaticate e quasi schiacciate dalla mole degli impegni e dei compiti», donne spesso poco comprese e bisognose di maggiori aiuti. Un’immagine che sembra combaciare con quella usata dal Censis per l’Italia: come una mamma stanca e sola, che ha bisogno di essere aiutata a ritrovare la fiducia in se stessa e la forza necessaria per aiutarci a costruire il futuro con speranza e senza paure.