Trent’anni di vita sono significativi per il bilancio complessivo di un Concordato, anche perché l’Accordo tra Italia e Santa Sede del 1984 ha concluso un’epoca, e aperto un’altra ricca di novità: è stato quasi il crocevia tra l’attuazione compiuta dei princìpi costituzionali e una fase segnata dal pluralismo religioso e un’interculturalità appena annunciata. La firma di Villa Madama, da parte di Agostino Casaroli e Bettino Craxi, può ritenersi un buon frutto della storia repubblicana: non ha subìto contestazioni politiche serie, o interventi giudiziari (pochissimi, tutti favorevoli al contenuto delle pattuizioni), e ha fatto da motore per altre riforme nell’ambito dei diritti civili.
La revisione del 1984 è stata preceduta da un negoziato complesso per ridefinire i rapporti tra Stato e Chiesa sotto il profilo giuridico e finanziario, e ha interessato figure primarie della nostra storia politica e costituzionale. Nella prima scansione, tra 1976 e 1979, i rapporti con le principali componenti presenti in Parlamento sono stati gestiti con saggezza da un esponente storico del cattolicesimo italiano come Guido Gonella, insieme ad Arturo Carlo Jemolo e Roberto Ago. I protagonisti politici dell’epoca, da parte loro, hanno lasciato la propria impronta, non senza rinunciare a qualcosa delle posizioni originarie. Mentre Giulio Andreotti avviava le trattative lasciando a Gonella il ruolo di negoziatore con il Vaticano, Giovanni Spadolini, e soprattutto Bettino Craxi, si sono impegnati molto nonostante settori dei propri partiti fossero legati a una tradizione diffidente verso i Patti con la Chiesa, con qualche nostalgia laicista. Enrico Berlinguer, che poteva vantare il voto storico del Pci a favore dell’articolo 7 della Costituzione, ha propiziato la firma del 18 febbraio nonostante il duro contrasto con Craxi, condividendo scelte decisive dell’Accordo come l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. Ciò è stato possibile per la rinuncia a interessi particolari, valutando la dimensione storica della revisione concordataria.
La lungimiranza della classe politica affondava le radici nelle scelte strategiche a favore di nuove relazioni ecclesiastiche, con princìpi validi per la Chiesa cattolica e altre confessioni religiose, che garantissero il pluralismo proprio della società italiana. Maturò così una nuova concezione che vedeva nello Stato e nella Chiesa soggetti non solo diplomatici i quali, tenendo presenti gli orientamenti del Concilio Vaticano II, intendevano collaborare per la promozione dell’uomo e per il bene del Paese. Questo il motivo ispiratore, la freccia dei nuovi rapporti con la Chiesa, che ha fatto scuola anche in Europa, essendo ripresa in altri Concordati e legislazioni nazionali anche nell’Est europeo post-comunista: lo Stato riconosce il ruolo della religione e delle Chiese, e stempera uno statalismo che aveva alimentato conflitti e incomprensioni. Si spiega così la filigrana delle riforme, estese poi ad altri culti: la presenza religiosa nella scuola basata sulla libera scelta di famiglie e alunni, la libertà di organizzazione della Chiesa che cancella ogni residuo giurisdizionalista e riconosce alle strutture religiose piena capacità di azione, con parità di doveri verso le leggi dello Stato. È venuto meno il tabù separatista del sostegno alle confessioni attraverso il varo del meccanismo dell’8 per mille, rapidamente aperto ad altre confessioni con Intesa, e utilizzato in altri ambiti: con il 5 per mille per le Onlus, con l’annuncio del 2 per mille per il finanziamento della politica.
Altro punto d’onore dell’Accordo del 1984 è l’avvio della più ampia riforma della legislazione ecclesiastica, con la stipulazione delle Intese con le confessioni valdese, ebraica, pentecostale, e altre. La laicità positiva che ispira l’articolo 1 del testo s’è irradiata nell’ordinamento dando al principio di libertà religiosa un carattere accogliente, inclusivo, nei confronti di altre religioni e tradizioni affacciatesi nella società attraverso l’immigrazione degli ultimi decenni. Questa laicità ha permesso di stipulare le Intese, ma anche di difendere con successo alla Corte di Strasburgo la presenza del crocifisso negli spazi pubblici, di elaborare la Carta dei valori di cittadinanza e integrazione, approvata nel 2007 dal Ministro Giuliano Amato, riconoscere Chiese cristiane ortodosse come quella romena (cui fa riferimento la comunità dei romeni presenti in Italia), e affrontare la questione della presenza islamica con intelligenza ed equilibrio nonostante le sue difficoltà. Non tutto è stato fatto, alcune carenze sono note.
Manca ancora una legge organica sulla libertà religiosa, il cui testo non ha superato gli ostacoli parlamentari nelle ultime legislature, devono maturare processi di aggregazione che diano all’islam una configurazione positiva dal punto di vista della libertà religiosa, ma anche rigorosa per il rispetto delle leggi dello Stato e dei diritti umani. Il cammino compiuto dal 1984 pone l’Italia ai primi posti tra i Paesi che riconoscono il ruolo della religione nella vita collettiva, e la rende capace di impegnarsi per il rispetto della libertà religiosa nel mondo.