Numeri allarmanti. Che fotografano una rivoluzione culturale e che tuttavia chiedono alla società, alla politica e alle grandi agenzie educative, Chiesa in primis, di reagire. Ina Siviglia, docente di Antropologia teologica allUniversità di Palermo, legge i dati dellIstat sulla denatalità come un monito ad aprire gli occhi su una realtà - quella della famiglia - che è profondamente cambiata.
Secondo lIstat le donne italiane diventano madri sempre più tardi, per il 6% dei nati a 40 anni. E poi cè laumento delle nascite al di fuori del matrimonio. È linizio della sconfitta per la famiglia? Questi numeri parlano - prima dogni altra cosa - di una rivoluzione, di un cambio di baricentro. Coppia e famiglia non sono più al centro della nostra società, che si è ripiegata sulla persona, sullindividuo e di conseguenza sul presente. Il risultato non è soltanto che i giovani non credono più nel domani: questi ultimi crescono in famiglie sempre più vecchie, a volte con un solo genitore o con genitori che hanno figli da altre unioni, e non hanno più modelli di riferimento precisi. Ma non parlerei affatto di sconfitta. Tuttaltro.
Cosa intende? Questi dati, seppur gravi, devono motivarci. Farci mettere a fuoco quella rivoluzione per interpretarla, gestirla. In questo senso per la Chiesa si delinea un compito fondamentale: quello di prendere atto che è sulla famiglia che si gioca la vera sfida educativa.
Questa nuova famiglia va educata, dunque. Ad essa deve essere attribuito un ruolo predominante nella pastorale e la stessa pastorale deve cambiare, adattandosi ai suoi destinatari concreti: dobbiamo prevedere una generazione futura cresciuta nelle famiglie fotografate da questi dati Istat. Giovani con problemi nuovi, che creano dinamiche psicologiche di grande fragilità. E dobbiamo attrezzarci, investire in pensiero, cultura, risorse umane altamente professionalizzate e anche in risorse pastorali nuove, attinte soprattutto dal mondo laico, dalle stesse famiglie.