Non è raro associare allattività di consumo unimmagine prevalentemente negativa. Essa deriva, in origine, quando i beni scarseggiavano, dalla contrapposizione con lattività considerata massimamente dotata di senso: il lavoro. Allora il consumo veniva considerato unostentazione di ricchezza lesiva della sobrietà del lavoratore e della miseria degli inoccupati. In seguito, come ai giorni nostri, quando il consumo diventa unattività preminente di molti, quasi di tutti, un po come lo era una volta per la nobiltà che viveva di rendita, tale immagine negativa deriva dallaver stabilito unimpropria equivalenza tra consumo e consumismo: consumismo è consumo esagerato, coatto (indotto dalla capacità persuasiva di un mercato troppo carico di merci, incurante del bene comune), dunque in ultima analisi insensato. Entrambe queste argomentazioni impediscono un ragionamento sereno sullattività di consumare, sulle dinamiche che sottendono alle scelte di consumo, sulle responsabilità che ciascuno deve assumersi ed anche, in ultima analisi, sulla possibilità di orientarle in modo innovativo e virtuoso. Entrambe queste argomentazioni semplificano un problema complesso e vanno perciò smontate per comprendere unattività centrale e trasversale della nostra epoca. Il consumo, infatti, proprio perché trascurato tra le varie problematiche educative, e considerato pratica marginale o passatempo frivolo, permette di mettere a fuoco in modo particolarmente significativo alcune delle emergenze dellattuale congiuntura.
Estratto da La sfida educativa Rapporto-proposta sulleducazione a cura del Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana
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