Esiste un procedimento cognitivo che è alla base di ogni rapporto che abbiamo con la realtà di questo universo. Tommaso lo sapeva bene, lo ha interpretato per l‘immaginario dei secoli a venire con dovizia e senso del rigore. Tommaso ha messo il dito nella piaga per credere, simbolicamente fissando il concetto di una gerarchia di priorità nella relazione con il circostante, con l‘ alterità. Questo evento ha una ambiguità di fondo: sembra significare una cosa e invece significa esattamente l‘opposto. Sembra infatti stabilire un procedimento cognitivo solido ed incontrovertibile, quasi un precursore del concetto moderno di scienza. Per credere bisogna vedere. Per credere bisogna toccare. Una volta toccato e visto allora nasce la conoscenza, il credere, il sapere, la fede. Fatale misunderstanding, fatale errore. Smisurata mistificazione per menti deboli e spiriti pigri e superficiali. Io sono un artista visivo, e per primo lotto costantemente sulle priorità metodologiche del fare immagine, del fare forma. Qualunque essa sia. E sperimento ogni giorno, ogni momento, che vedere e toccare non sono cause, ma sono effetti. Sono effetti di una struttura che si crea e che si crede prima di arrivare agli strumenti per renderla visibile. E visibile non è affatto una categoria necessaria del reale. Intendendo per visibile il percepibile, il percepibile ai nostri strumenti di indagine sensibile. Non nasce arte e neppure fede e direi neppure scienza se il procedimento vede a capo delle priorità il vedere e il toccare. Direi di più: non è vero che l‘esercizio dei sensi rappresenta il primo step dell‘esercizio cognitivo. Ciò che vediamo, ciò che sentiamo ciò che tocchiamo sono una porzione infinitesimale di tutto il vedibile, sentibile, toccabile, e questo qualunque sia la porzione di spazio presa ad esempio. In ogni istante, in ogni luogo, in ogni circostanza. Il nostro bagaglio genetico che fà da filtro in questa operazione di conoscenza, determina le maggiori o minori capacità anche nell‘ambito estremamente relativo che abbiamo identificato. Quindi esiste una selezione che facciamo, un filtro, per così dire, a priori del percepito , che, sulla base di nostri collegamenti neuronali e sinaptici sceglie cosa considerare e cosa no. Come chiamare questa selezione se non una forma larvata ed istintuale del credere? Noi scegliamo, quindi crediamo in una verosimiglianza piuttosto che in un‘altra dei miliardi di possibilità che si accavallano alla nostra percezione in ogni evento-istante della nostra esistenza. Sulla base di questo allora vediamo, sentiamo, tocchiamo. Il toccare e vedere è conseguenza della serie infinita di scelte fatte prima che le informazioni percettive si dispongano in una qualche struttura. In sintesi percepiamo la realtà in cui crediamo. Non viceversa. Il fatto che questo processo sia deliberatamente ribaltato nel pensiero corrente, deriva da ignoranza o pregiudizio, o forse ancor più dalla necessità di credere in una oggettività che da noi viene soppesata e stimata ma che in effetti non esiste per come ce la figuriamo, se non nell‘ambito di un approccio comunque fideistico, anche se solo sensorial-fideistico. Se si prende coscienza di questo dato di fatto, si percepisce subito come si sgretolano le certezze basate sulla monoliticità della verità percettivo-sensoriale. Nella società del vedere per credere, fede (qualunque essa sia), metafisiche, arte, vengono considerate scelte irrazionali, paradossali. Invece catturano con molto più rigore, in maniera scientifica e anche pragmatica il processo gnoseologico-ontologico della nostra relazione con l‘esistente molto più dell‘assiomatico vedere per credere, slogan dell‘ anestetica ottusità contemporanea e fardello distorsivo di ogni tempo. Il buon Tommaso credeva di essere lo scienziato e invece era il credulone. E chi non è Tommaso scagli pure una cesta di pietre. Non vi è altra relazione con l‘esistente se non una relazione di fede. Se non la relazione di una chiave di lettura che abbiamo e che permette di orientare la selezione degli intollerabilmente infiniti dati cognitivi che ci si propongono costantemente. Forse...dentro la quantità dei labirinti possibili... c‘è quello giusto. Ma per trovarlo serve non il dito. Serve un atto di fede.