Il Teatro e l'esperienza del Sacro - Eventi
Volti che si incontrano
Fabrizio Fiaschini, presidente della Federgat (Federazione gruppi attività teatrali).


“Lo sviluppo contemporaneo del teatro ha messo in luce la sua natura di luogo in cui è ancora possibile, nell’epoca della comunicazione mediatica, instaurare un rapporto diretto tra uomini”. Così recita la Nota pastorale della Cei sulle Sale della comunità del 25 marzo 1999. Sul valore del teatro oggi, abbiamo parlato con Fabrizio Fiaschini, presidente della Federgat (Federazione gruppi attività teatrali). 
 
Il teatro nasce come rituale sacro. Cosa rimane di questa sua vocazione spirituale nel teatro di oggi?
 
 “Il teatro è sempre stato una paraliturgia, pur mantenendo la sua laicità, in quanto luogo di incontro e di riflessione per la comunità. E questo senso del rituale rimane ancora oggi, in un’epoca solo apparentemente lontana dal sacro. Ma il teatro è anche luogo di spiritualità. Innanzitutto il lavoro dell’attore, come ci ha insegnato tanto teatro del Novecento, prima di essere un lavoro di rappresentazione, è un lavoro di scavo dentro se stessi molto profondo, perché coinvolge l’unità del corpo e dello spirito. Questo scavo favorisce l’emersione di emozioni e lati profondi che innescano una serie di domande, anche a carattere spirituale. Inoltre il rapporto tra attore e pubblico stimola degli interrogativi che possono portare lo spettatore a una ricerca spirituale”.
 
Può il teatro essere portatore di un messaggio di fede, non necessariamente trattando argomenti religiosi?
 
 “Certo. Anzi, in alcuni casi diventa anche più interessante ed efficace quando la ricerca del sacro non passa per la rappresentazione di argomenti religiosi. In una società come quella di oggi, l’uomo, con tutte le sue inquietudini, è il centro più vivo di un’esperienza che può toccare l’aspetto religioso. Molte delle compagnie che hanno partecipato alla prima edizione de ‘I Teatri del Sacro’ si professano non religiose. Tuttavia questo tema del sacro le ha molto attratte, a testimonianza che si tratta di una questione su cui tutti si confrontano. Un tema importante che non riguarda direttamente il sacro, ma che a esso conduce, è quello della memoria e delle tradizioni popolari. C’è una nostalgia, un bisogno di comunità oggi molto forte, che suscita una riflessione sulla memoria e quindi sulla identità”.
 
Perché il teatro rimane ancora in una posizione subordinata rispetto alle altre arti, nonostante sia praticato moltissimo?
 
 “Purtroppo oggi c’è un grande divario tra chi fa teatro e chi vede il teatro. C’è una grande produzione di teatro, a molti livelli. Ma scarsa è la partecipazione allo spettacolo. Perché? Spesso da parte di chi fa teatro, l’esperienza è talmente coinvolgente e ricca da bastare a se stessa. Molte volte invece il teatro cosiddetto professionistico non riesce a intercettare il pubblico perché si chiude nell’esclusivismo, perdendo così la sua dimensione popolare. Bisognerebbe tornare a un teatro che accetti tutti i linguaggi, superando le distinzioni e i limiti di genere. In questo senso la rassegna ‘I Teatri del Sacro’ non è specifica, e all’interno si possono trovare tutti i generi. Bisogna ritrovare un’unità, tra i linguaggi e tra i pubblici. Il pubblico è la chiave di questa unità, e il destinatario a cui dedicare tempo ed energia. Per questo all’interno della rassegna ‘I Teatri del Sacro’, organizziamo un laboratorio di educazione al pubblico”.
 
Come può il teatro tornare ad avere quella valenza di atto sociale per eccellenza, che è alle origini della sua creazione?
 
 “Deve di nuovo mettere in comunicazione il pubblico con lo spettacolo e creare dei rapporti tra il mondo del professionismo e il teatro amatoriale, pur lasciando a ciascuno le sue specificità. In questo senso uno strumento fondamentale sono proprio le Sale della comunità, per la loro capacità di lavorare sul territorio, che coprono a livello capillare, e quindi d’intercettare un pubblico legato al contesto di comunità. Ma soprattutto perché non conoscono un’identificazione di genere, dunque possono accogliere e offrire una programmazione integrata, diventando davvero dei luoghi di cultura e strumento fondamentale di quella unità necessaria alla riscoperta del teatro e delle sue potenzialità”.
 
Marta Fallani - Sir, 18 febbraio 2011


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 13-GIU-12
 

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