Il palco del convegno "Gesù nostro contemporaneo».

«Io sono colui che rimane»

A Roma tre giorni di conferenze e incontri organizzati dal Progetto Culturale della CEI su «Gesù, nostro contemporaneo», sabato l'intervento conclusivo del cardinale Ruini: «Gesù vive con noi e per noi nell’eterno presente di Dio»
Paola Ronconi

«Voi, chi dite che io sia?», la domanda che Gesù pose ai suoi risuona oggi più che mai provocatoria e, al contempo, drammatica. L’Anno della fede indetto da Benedetto XVI invita i cristiani a riscoprire «ciò che abbiamo di più caro: Gesù Cristo». È su questa scia che il Progetto culturale della Cei, presieduto dal cardinale Camillo Ruini, lancia una sfida al dibattito pubblico con un convegno dal titolo “Gesù nostro contemporaneo”. Dal 9 all’11 febbraio a Roma, si sono confrontati personalità italiane e straniere, cattolici, protestanti, ebrei e musulmani, agnostici e non credenti.

Dopo l’introduzione del cardinale Angelo Bagnasco, l’esegeta tedesco Klaus Berger in una relazione dal titolo “Gesù mette fine all’invisibilità di Dio”, ha dato l’avvio ai lavori: «Questa è la pretesa di Gesù: Io sono colui che rimane... in lui (Cristo) Dio ha un volto che diventa accessibile a noi uomini».
Il rabbino David Rosen con Romano Penna e Paolo Mieli si sono confrontati su “Gesù e la Gerusalemme di ieri e di oggi”. Il cardinale Gianfranco Ravasi, insieme alla storica dell’arte Elena Pontiggia, ha meditato sulle “Rappresentazioni del corpo di Gesù”.
Il cardinale Angelo Scola (insieme al teologo Thomas Soding) è intervenuto a partire dal libro di Benedetto XVI Gesù di Nazareth: «Nel caso di Gesù - ha argomentato il Cardinale - fede e storia sono intrecciate. È stata la confessione di Gesù da parte della comunità apostolica a fondare il racconto della sua storia, mentre chi non ha creduto in Lui non ha sentito l’esigenza di raccontare la sua storia». In secondo luogo, l’«inseparabilità dell’intreccio tra fede e storia» si evince «dalle riflessioni sulla natura stessa della storia: non possiamo ridurla a fatti bruti contrapposti, se la storia ha senso è perché in essa si attua il destino dell’umanità». Il libro del Papa su Gesù di Nazareth, per il cardinale Scola, «è una solida manifestazione di come i rapporti che fanno la storia orientino a prendere posizione, a decidere». Ha concluso la giornata l’intervista di padre Bernardo Cervellera al cardinale Joseph Zen Ze-kiun, vescovo emerito di Hong Kong.

Il teologo monsignor Pierangelo Sequeri ha aperto venerdì mattina, la seconda giornata continuata con dibattiti su “Gesù e le donne” con, tra gli altri, Liliana Cavani, “Gesù e i poveri” e “Gesù nella letteratura contemporanea”.
Il pomeriggio ha visto la relazione di Jean-Luc Marion su “La potenza e la gloria del sacrificio”. Roberto Vecchioni, Alessandro D’Avenia, Alessandro Zaccuri e Armando Matteo si sono confrontati su “Gesù e i giovani”. E ancora monsignor Rino Fisichella e Tony Capuozzo su “Gesù e il dolore degli uomini”, Sergio Lanza, Giuliano Ferrara e il sociologo Sergio Belardinelli sul libro di René Girard Prima dell’Apocalisse. La giornata si è conclusa con la testimonianza di Majdi Dayyat, responsabile del centro Our Lady of Peace di Amman, un centro fondato dalla comunità cattolica, dove volontari cristiani e musulmani si occupano di persone disabili. La sessione finale di sabato ha visto il teologo e vescovo anglicano Nicholas Thomas Wright insieme al professore tedesco Henning Ottmann sul tema della resurrezione di Cristo come evento storico sul quale l’intera fede cristiana sta o cade. «I nostri cuori e le nostre menti sono pieni di memorie dei nostri personali fuochi di brace, delle volte in cui mediante le nostre azioni e le nostre parole abbiamo di fatto negato persino di conoscere Gesù», ha affermato il reverendo Wright. «Tuttavia Gesù viene ancora, e viene di nuovo, e ci pone la stessa domanda: Mi ami tu?».
Le conclusioni del convegno sono state affidate al cardinale Camillo Ruini: «Il Dio in cui si crede, o non si crede, il Dio di cui anche oggi si discute, in Occidente e in gran parte del mondo è, in sostanza, il Dio che ci ha proposto Gesù di Nazareth. Se Gesù di Nazareth è importante anche oggi per tanti uomini e donne, è perché essi sono convinti, o almeno sperano, che egli abbia un rapporto speciale, anzi unico, con Dio».
Il confronto di questo convegno, condotto non solo sul piano delle argomentazioni, ma su tutto l’arco dell’esperienza umana, mette a tema la grande pretesa del cristianesimo che scuote il mondo da duemila anni: «Gesù di Nazareth, vissuto duemila anni fa in Palestina, è veramente il Cristo, il figlio del Dio vivente».