Il cambiamento demografico - Eventi
Un Rapporto con una visione olistica
Intervista al prof. Antonio Golini


Il prof. Antonio Golini, ordinario di Demografia e oggi professore emerito dell’Università “Sapienza” di Roma, Accademico dei Lincei e membro dell’Accademia delle Scienze di Torino, è uno degli estensori del Rapporto-proposta “Il Cambiamento demografico”. In occasione della presentazione del volume gli abbiamo rivolto alcune domande.
Professore, Il Rapporto nasce dall‘esigenza di tenere insieme l‘analisi demografica con la riflessione antropologica. Quali sono gli aspetti propositivi che emergono da questo sforzo?
Certamente le analisi demografiche che si sono succedute negli ultimi 30 anni hanno sempre messo in luce i legami fra popolazione e società, e poi anche più specificamente quelli fra popolazione e generazioni e fra popolazione autoctona e popolazione immigrata. Questo Rapporto ripropone in maniera compiuta i problemi che sollevano le tendenze della popolazione visti alla luce degli aspetti antropologici e sociali. Visione olistica, di nuovo molto opportuna, che normalmente non è della classe politica, né dell’opinione pubblica e nemmeno di taluni studiosi. Va detto però che alcuni fenomeni, come la perdurante bassa fecondità italiana, sono ormai ben conosciuti a tutti i livelli; ma considerati “fatalisticamente”, come qualcosa contro cui non si può (né si deve?) far niente.
 
All’emergenza educativa si somma l’emergenza economica di questi ultimi tempi. Che rilievo possono avere dati demografici per indirizzare il futuro politico e sociale di una Paese?
Ovviamente i dati demografici hanno importanza fondamentale. E’ certo inutile ripetere che un equilibrio quantitativo fra le generazioni - che è legato in primo luogo al livello delle nascite e alla durata della vita, e in minor misura alle migrazioni - è essenziale per un bilanciato futuro politico e sociale del nostro Paese. E gli esempi sono numerosi, per esempio l’esigenza di un equilibrio fra le generazioni vecchie o molto vecchie e quelle in età adulta e le conseguenze dell’assai crescente peso di anziani e vecchi fra gli elettori. Ma il problema sta nel fatto che da un lato la demografia agisce sui tempi lunghi legati all’intervallo fra le generazioni (30-31 anni attualmente) e dall’altro al fatto che nel decidere di avere o non avere un bambino una coppia guarda al breve o al più al medio periodo; e certamente la decisione individuale e di coppia non può prendere in considerazione la circostanza che siamo in un paese fortemente invecchiato. In sostanza la decisione proprio perché essenzialmente individuale o di coppia non prende mai in considerazione il valore sociale, cioè collettivo, di un bambino, valore che in Italia - al contrario della Francia, ad esempio - non viene nemmeno percepito.
 
Secondo gli ultimi dati Istat quasi un neonato su cinque ha almeno un genitore straniero. Ma soprattutto al Nord, dove il fenomeno dell’immigrazione è più radicato, si arriva in alcune città a uno su tre. Come incide tutto ciò negli scenari futuri?
Certamente il fenomeno è rilevante, tanto che in qualche singolo comune le nascite straniere sono già arrivate a quasi il 50 per cento del totale. Questi sono i nuovi italiani ed è indecoroso che ancora non venga data loro la cittadinanza italiana per nascita. Centinaia di migliaia di ragazzi si trovano in mezzo a un rischiosissimo guado psicologico: non sono italiani e non possono sentirsi del tutto stranieri. E dal nostro punto di vista di società italiana è anche autolesionistico, dal momento che, com’è giusto che sia, noi facciamo nascere, curiamo e istruiamo questi ragazzi a nostre spese (rilevantissime, vista la loro grande quantità e l’elevato costo dei servizi sanitari e scolastici), ma poi li teniamo esclusi dalla nostra società fino al 18° anno (e anche oltre).
 
Il Rapporto-proposta individua due ordini di fattori capaci di influire sull’andamento delle nascite. Il primo è costituito dagli interventi pubblici. Il secondo si colloca a un livello più profondo, quello delle mentalità, degli insiemi di rappresentazioni e sentimenti. Esiste un comun denominatore che incroci entrambe le prospettive?
Sì. Ma per trovarlo dobbiamo far ricorso a un profondo mutamento di cultura e di approccio: quello che porta a sviluppare il concetto di valore sociale e pubblico del bambino, oggi, come si diceva, del tutto assente nella mentalità della coppia e dei suoi componenti. Ma assente anche a livello collettivo; mentre infatti qualunque persona sa bene che una società e una economia collassano fino alla implosione se nessuno lavora, neanche uno, o quasi, pensa che una popolazione e una società implodono se nessuno ha dei figli.
 Servizio nazionale per il progetto culturale


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 07-OTT-11
 

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