L‘Italia delle mamme sta lentamente diventando il Paese della scelta impossibile: quella tra i figli e il lavoro. In assenza di riforme profonde e condivise del nostro sistema sociale, che partano proprio dalla conciliazione di tempi e modi di vita diversi, è questa listantanea rilasciata ieri dallOcse nel suo primo rapporto sulle politiche familiari europee. Si tratta della presa datto, per la prima volta anche in ambito internazionale, di un allarme che da diversi anni risuona, purtroppo inascoltato, nel nostro Paese. Investiamo troppo poco sulla famiglia, lasciamo al loro destino le donne che intraprendono con coraggio un percorso di maternità senza voler abbandonare le proprie prospettive di carriera e, di questo passo, corriamo anche il rischio, tra una decina danni, di vedere gli attuali 20-30enni nellimpossibilità concreta di generare figli, dopo averli costretti per anni a posticipare questo desiderio a causa di un mercato del lavoro tuttaltro che ospitale e conciliante.Il resto dEuropa, invece, sta correndo in unaltra direzione, destinando risorse e politiche alle coppie con figli e garantendo alle madri il tempo giusto per stare in casa, aumentando nel contempo la qualità della vita e continuando, laddove possibile, a crescere professionalmente. Secondo lOrganizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che raduna 29 Stati in unassociazione intergovernativa, il nostro Paese spende l1,4% del Prodotto interno lordo per il sostegno alle famiglie con bambini. Quasi un punto in meno rispetto alla media dei Paesi Ocse, che si attesta al 2,2% del Pil. Ma lItalia rimane nella parte bassa della classifica anche se si resta nellambito della sola Europa: basta prendere in considerazione i casi della Gran Bretagna (dove per la famiglia si spende il 3,5% del Pil ) e della Francia (il 3,8%). Un divario crescente, dunque, anche perché di quoziente familiare, di opportunità per le neo-mamme e di asili nido si parla in Italia ormai da decenni, senza riuscire a trovare almeno un linguaggio condiviso (figurarsi un piano programmatico) soprattutto tra attori sociali e mondo politico.SCEGLI: O A CASA O IN UFFICIO Il rapporto Ocse ha il merito di non prestarsi ad equivoci. In Italia, scrive lorganizzazione, «le donne trovano difficoltà nel combinare la maternità e lavoro retribuito» e spesso «devono scegliere tra lavorare e avere figli». La scelta impossibile ha un effetto immediato sugli scenari socio-demografici: nascono pochi bambini e si registra un basso tasso di occupazione femminile. Siamo al 48%, contro una media del 59%. Ma le preoccupazioni del presente, se non affrontate in modo adeguato, corrono il rischio di trasformarsi in angoscia crescente per il futuro. «Visto che vorrebbero prima acquisire una posizione solida nel mondo del lavoro, le generazioni più giovani posticipano la nascita dei bambini - osserva lOcse - cosa che aumenta la possibilità di non aver figli del tutto». Ne risente in tal modo il tasso di fertilità, in calo, mentre aumenta il numero di donne sole. Prendiamo la generazione femminile nata nel 1965: nel nostro Paese una donna su quattro non ha figli (il 24%) in Francia siamo ad appena una su dieci (il 10%). Resta poi uno strato di incomunicabilità latente tra le aziende e le proprie dipendenti e collaboratrici. Meno del 50% delle aziende con 10 o più dipendenti offre opzioni a tempo flessibile e il 60% dei lavoratori non ha controllo sui propri orari di lavoro. Con unoccupazione a tempo pieno e servizi sociali spesso non allaltezza della situazione (soprattutto in alcune zone del Paese) il quadro per le neo-mamme che aspirano a restare in azienda e magari avere altri figli, si complica. Resta lalternativa, a dir la verità tuttaltro che accessibile, del part time, scelto dal 31% delle donne occupate e dal 7% degli uomini.PIÙ SOLI E PIÙ POVERI Secondo Liliana Ocmin, segretario confederale della Cisl, «diventa sempre più pressante e urgente accompagnare le politiche economiche e fiscali con politiche familiari adeguate» e in grado di «sostenere le scelte di maternità e di paternità, alla luce del fatto che le donne che non lavorano, sempre più spesso rinunciano a fare figli». Per Antonio Foccillo della Uil, è necessario «garantire un sistema di sussidi e di assistenza sociale maggiormente utilizzabili da coloro che hanno o vogliono costruirsi una famiglia. Diversamente aumenterà ancora il tasso di povertà infantile ». È questo infatti lultimo lato oscuro svelato dal rapporto: i bambini italiani sono sempre più poveri. Il tasso di povertà infantile si attesta al 15% e, tra i Paesi maggiormente industrializzati, solo gli Stati Uniti fanno peggio (21%). Il rischio per i minori di una crescita in condizioni di indigenza sfiora, secondo lOcse, l80% ed è estremamente alto per i bambini che vivono in famiglie in cui entrambi i genitori sono disoccupati. La percentuale scende al 22% quando anche solo uno dei due genitori ha un lavoro. Se in questo caso si tratta della mamma, è presumibile che dovrà fare, come sempre, salti mortali per tenere insieme tutto: famiglia, occupazione e affetti. Almeno fino a quando non ci sarà un intervento di sistema che rimetta lItalia allo stesso livello del resto dEuropa.