Quando nel 1861, dopo aver fatto l’Unità d’Italia, si procedette al primo censimento degli italiani, ne risultarono presenti - entro i confini di allora - circa 22 milioni. La nuova identità nazionale veniva acquisita da un popolo decisamente giovane: poco più della metà dei presenti aveva meno di 25 anni, uno su tre non raggiungeva i 15 e solo uno su venticinque si spingeva oltre il confine del 65esimo compleanno. Si era di fronte ad una popolazione in cui gli alti tassi di natalità - circa quattro volte superiori ai valori attuali - trovavano riscontro in livelli di mortalità quasi altrettanto elevati: la durata media della vita era di poco oltre i trent’anni e la metà del totale dei decessi riguardava bambini entro la soglia del sesto compleanno.
 
Da allora tutto è radicalmente cambiato. Il profilo demografico degli italiani è andato progressivamente adeguandosi agli eventi storici e alle continue trasformazioni politiche, economiche, sociali e culturali che hanno interessato un secolo e mezzo di vita del Paese. Nel ricostruire, attraverso i dati statistici, l’immagine di come eravamo e di come nel tempo siamo cambiati, si ha modo di cogliere i segni lasciati dalle due guerre mondiali, così come quelli dovuti alle massicce ondate di espatri verso il Nuovo Mondo, prima, e l’Europa, poi. Si possono altresì valutare i riflessi delle misure di politica demografica introdotte negli anni Trenta e prendere atto, vent’anni dopo, delle straordinarie novità maturate nel clima della ricostruzione: dai turbolenti processi di mobilità interna alla vivacità demografica testimoniata dal “baby-boom” all’epoca del “miracolo economico”. Per giungere, infine, alle rivoluzionarie trasformazioni dell’ultimo trentennio, allorché sono andati affermandosi, accanto alla sorprendente scoperta di una società sempre più multietnica, nuovi modelli di comportamento degli italiani nel fare e nel vivere in famiglia, nel diventare genitori, nell’interpretare e condividere le regole del ricambio e della solidarietà intergenerazionale.