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La cultura civile degli italiani tra universalismo e particolarismo
di Sergio Belardinelli

La contaminazione crescente cui oggi sono sottoposti i popoli e le culture ha conferito nuova attualità al problema della loro identità e della loro pacifica convivenza.
 
Il forte radicamento della cultura italiana nell’universalismo cattolico e romano, l’allegria, il disincanto, l’inventiva e la flessibilità, ovunque riconosciute come virtù tipicamente italiane, alle quali fanno da supporto legami familiari ancora piuttosto forti e un tessuto sociale certamente più coeso che in altri Paesi occidentali, potrebbero costituire senz’altro un vantaggio nella gestione del suddetto problema. E sebbene il limite tra queste virtù e i peggiori difetti degli italiani - l’incredulità, la birberia, il cinismo, un certo “familismo amorale” e l’esasperato particolarismo- risulti troppo spesso quasi impercettibile, resta pur vero che, per fronteggiare il problema dell’integrazione sociale nell’epoca delle grandi migrazioni, serve una sorta di naturale disposizione delle culture verso la diversità, una grande capacità di conciliare universale e particolare. Risorse, queste, che in Italia certamente non mancano, anche se sembrano far fatica a trovare la loro giusta canalizzazione civile e istituzionale.
 
“Sono venuto per imparare Roma”. Con questa espressione un po’ insolita Giovanni Paolo II si rivolse una volta agli studenti e alla autorità accademiche di una celebre Università pontificia. “Imparare Roma”, dunque. Ma che c’è di così importante da imparare in una città certamente bellissima nei suoi monumenti e nei suoi musei, grondante di storia un po’ da tutte le parti, ma anche più caotica e, per molti versi, più trasandata di tante altre?
Mi è capitato spesso di riflettere su questa domanda e la risposta è sempre stata la stessa; una risposta che ha forse il difetto di essere un po’ romanocentrica o italocentrica, ma che tuttavia mi sembra plausibile: a Roma si impara qualcosa che è autenticamente universale e nel contempo autenticamente “sensibile alle differenze”, secondo la nota espressione di Juergen Habermas; si impara il senso dell’appartenenza a una storia antichissima e variegata, incompatibile con qualsiasi forma di fanatismo etnocentrico; il senso di un’identità flessibile, aperta, mai esclusiva o aggressiva; si impara ad apprezzare la bellezza, il gusto per la vita e -perché no?- a prendere la vita con la giusta misura, con distacco e allegria: tutte caratteristiche che la città di Roma e molti romani -lo sappiamo tutti- offrono concretamente ai nostri occhi. Ma universalità, bellezza, gusto per la vita, quindi inclusività e capacità di incontrare l’”altro” non sono soltanto gli attributi di una città; sono anche i migliori attributi (non i soli, è chiaro) che possono ancora qualificare la vitalità e la ricchezza di una cultura....
 


Ultimo aggiornamento di questa pagina: 15-NOV-10
 

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