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ultimo aggiornamento 15/10/2015
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San Paolo Parla   versione testuale

La cronaca del primo incontro sulle lettere paoline


Riportiamo qui di seguito l'articolo pubblicato sul sito "Romasette.it" che restituisce la cronaca dell'evento che si è svolto il 27 ottobre a San Paolo nell'ambito del ciclo d'incontri "San Paolo Parla", organizzato dall'Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma con il contributo del Servizio nazionale per il progetto culturale.
 
di Francesco Lalli
 
La parola non basta, si deve trasformare in volto. Per questo la serie di cinque incontri “San Paolo parla”, che si sono inaugurati lunedì 27 ottobre nella cornice della basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, vogliono unire due traiettorie. «Quella dell’esegesi e quella dell’esperienza, con il duplice intento di fare conoscere meglio la figura del principale divulgatore della parola di Dio e, nello stesso tempo, domandarsi se egli riesca ancora a parlare agli uomini del XX secolo». Con queste parole il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della basilica papale, ha inaugurato l’iniziativa, nell’ambito degli eventi per l’anno paolino.
 
Al centro della serata quella Lettera ai Romani attraverso la quale Paolo ha costruito la sua «cattedrale teologica», il cui perimetro è stato attraversato dal commento dell’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio Consiglio della Cultura, e arricchito dalle due successive testimonianze affidate, rispettivamente, al vicario per la diocesi di Roma, il cardinale Agostino Vallini e al sindaco Gianni Alemanno.
 
«Vi è subito uno stereotipo da estirpare che alberga nella convinzione di molti – ha premesso monsignor Ravasi –; mi riferisco all’immagine proposta da intellettuali come Renan, Nietzsche, Gramsci, di un San Paolo come l’annunciatore di una novella retorica e fredda che avrebbe finito con il complicare la semplicità e l’efficacia del messaggio evangelico». «La Lettera ai Romani – ha chiarito subito Ravasi – dimostra al contrario, la capacità di una mente d’incendiare le parole di passione e speranza». «L’Apostolo delle genti – ha proseguito Ravasi – ci mostra, è vero, un uomo scisso tra il desiderio di adempiere il bene e la tentazione del male, ma ci consegna anche sette espressioni che costituiscono altrettante tappe di un cammino di speranza e di riconciliazione». «Le prime tre sono: la carne (sarcs), il peccato (amartia) che alberga in essa autorigenerandosi e la legge (nomos) quale illusione di autosalvazione da parte dell’uomo».
Di fronte al riconoscimento severo di questa condizione umana giungono però a soccorso, ha aggiunto, «altri quattro vocaboli: la grazia di Dio (karis), un concetto d’amore che estirpa il male dell’uomo dai bassi fondi della storia, ma che richiede la fede (pistis), ovvero l’opera di accoglimento di questo gesto da parte dell’individuo per vivere la sua trasformazione (dinakiosune) e guadagnare dentro di se il respiro nuovo, il respiro di Dio (pneuma)».
 
Dal buio alla luce, non c’è più una distanza invalicabile con il divino, bensì piena comunione. Questa trascurata capacità del pensiero paolino di affrancarsi dalla sua apparente astrattezza per divenire concreto, operante e provocante, si è poi manifestata nella testimonianza del cardinale Vallini. «Mi sono accostato a Paolo fin da giovanissimo – ha ricordato il vicario del Papa per la diocesi di Roma – colpito da due aspetti che sono rimasti sempre di grande insegnamento e aiuto per me: la lealtà dinanzi alla verità da cui deriva l’impegno a essere coerente, e il coraggio. Quest’ultima dote è indispensabile per il cammino spirituale del cristiano e le parole di Paolo in proposito hanno inciso fortemente sulla mia scelta di diventare sacerdote in un periodo delicato della mia esistenza».
 
28 ottobre 2008
ultimo aggiornamento 15/10/2015