mercoledì 28 novembre 2012
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Ha girato il mondo per vent’anni come reporter di guerra per conto del laicissimo quotidiano Le Monde. Da direttore delle prestigiose Editions du Seuil ha frequentato nomi di primo piano della cultura internazionale come René Girard, Michel Serres, Edgar Morin, Régis Debray. Jean-Claude Guillebaud resta una voce singolare e fuori dagli schemi nella cultura europea. Da cristiano "ricominciante" (ha raccontato il ritorno alla fede in Come sono ridiventato cristiano, Lindau), mantiene una lucidità di giudizio da cui anche l’allora cardinale Joseph Ratzinger, parlando del suo Le principe humanité, era rimasto colpito. Guillebaud, oggi responsabile dell’editrice Arenés, ha da poco pubblicato Une autre vie est possible. Comment retrouver l’espérance (L’Iconoclaste, pp. 214, euro 14). Scrive: «L’Europa doveva permetterci di difendere la nostra interpretazione – protettrice, ridistributrice, socialdemocratica – dell’economia di mercato, quale fu teorizzata dopo gli anni Trenta. Ho parlato altre volte di un "capitalismo renano" e dell’economia sociale di mercato, che si oppone con ragione al capitalismo anglosassone. Eppure la socialdemocrazia europea – tramite la Commissione di Bruxelles – è stata rapidamente contaminata dalla logica anglosassone. Lungi dal proteggerci contro l’influenza di oltreoceano, la costruzione europea è diventata il cavallo di Troia e ha fatto entrare questo "modello" da noi, come di contrabbando».Guillebaud, lei afferma di trovare più «progresso» in Asia che in Europa. Però nel continente «giallo» i diritti umani (libertà religiosa, di parola, di pensiero…) non sono garantiti ovunque. Che senso dare allora all’espressione «progresso»?«Non ignoro che nella maggior parte dei Paesi asiatici (Cina, Vietnam, Singapore, Malesia, eccetera) il rispetto dei diritti umani non è completamente assicurato e siamo ancora lontani dalla democrazia. Cina e Vietnam, per esempio, sono politicamente diretti ancora da governanti comunisti "all’antica", poco rispettosi della libertà e della dignità umana. Eppure, se i loro poteri sono sclerotizzati e autoritari, le società civili di quei Paesi sono dinamiche, inventive e attive. Vivono al ritmo dell’ipercapitalismo che è anche creativo, rivolto verso il futuro, verso il "progetto" nel senso ontologico di questo termine. Il "gusto per il futuro" (per riprendere un’espressione del sociologo tedesco Max Weber) fu per lungo tempo la caratteristica della cultura europea, ciò che ha permesso all’Europa, e poi all’Occidente, di incarnare il progresso e la modernità. Oggi l’Europa offre l’impressione di essere diventata un continente affaticato, senza speranza, ingabbiato dalla nostalgia della sua passata grandeur».Quali esempi adduce per suffragare questa sua convinzione?«Noi passiamo il tempo a "commemorare" le cose, rivolti al passato più che verso il futuro. Un tempo in questo era specialista la Cina, antica e ricca civiltà che restava immobile nell’autocelebrazione di se stessa, come rimarcava nel 1920 il filosofo cinese modernista Liang Shuming, a sua volta critico verso la sua cultura. Oggi la Cina va avanti, mentre l’Europa si immobilizza. È per questo che nel mio libro affermo, con un po’ di provocazione, che i cinesi sono più occidentali di noi, si trasformano in uomini che si levano (l’Oriente) mentre noi diventiamo persone che si eclissano (Occidente)».Lei ha parole polemiche verso i neo-stoici – come André Compte-Sponville – che vanno per la maggiore non solo in Francia. Prende le distanze dalla loro «fascinazione per la saggezza». Perché?«Rispetto Comte-Sponville e ho dialogato in pubblico diverse volte con lui. Sul quotidiano La Croix abbiamo anche fatto un’intervista a due voci. Ma mi trovo in disaccordo radicale con lui sul concetto di speranza. In diversi libri egli denuncia la speranza presentandola come un mercato che vende schiume. Perché rinviare al domani – sostiene – una felicità o un piacere che si può vivere immediatamente, nel presente? Ai suoi occhi la speranza opera dunque come un sostrato che sposta qualcosa del presente, qualcosa che risulterebbe inutile. Credo che si sbagli. Gli ho detto una volta, ridendo, che un ex marxista come lui non aveva letto abbastanza sant’Agostino».Perché? «Perché Agostino ha ricordato che la speranza riguarda senza dubbio il futuro, ma che si vive al presente. In altre parole: lungi dal sottrarre qualche cosa al presente, essa lo aggiunge. E d’altronde noi sappiamo bene che un individuo o una società che spera è ben più felice di un individuo o di una società che disperano. Se si seguisse il ragionamento di Comte-Sponville, questo dovrebbe essere l’opposto».Come sta il cattolicesimo in Francia? A Strasburgo si sono svolti gli Stati generali del cristianesimo promossi dalla rivista «La Vie». Vi sono segnali di speranza?«Ne sono convinto. Viviamo un momento paradossale. La società francese sembra sempre più secolarizzata e pagana, l’istituzione cattolica appare quanto mai in crisi, ma allo stesso tempo si sente una forte sete di spiritualità, anche tra i giovani. Aggiungo che questo fenomeno non mi sembra confinato nella sola Francia, né unicamente in Europa. Sono spesso in viaggio per lavoro: constato la stessa cosa in Africa, in Asia, anche nei Paesi un tempo comunisti dell’Est Europa. Nessuno può dire cosa scaturirà da questo "ritorno del religioso" (può anche venirne fuori il peggio!). Però una cosa è sicura: come ha affermato l’antropologo americano Clifford Geertz, morto nel 2006, la "domanda religiosa" non è alle nostre spalle, ma davanti a noi: è un "soggetto del futuro"».
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