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Blangiardo: "Tre mosse per uscire da questa impasse"   versione testuale








Un dato allarmante, certo. «Ma non è una novità», commenta il demografo Giancarlo Blangiardo a proposito del fatto che il saldo naturale, come risulta nel bilancio demografico nazionale del 2010 comunicato ieri dall’Istat, tocca il livello più basso dal 2003. «È la continuazione aggravata di una tendenza già in atto», riferisce l’esperto che ha lavorato al rapporto proposto del progetto culturale della Chiesa italiana che affronta il problema demografico.
 
 
Cosa rende preoccupante tale record negativo del saldo naturale registrato nel 2010?
 
È tutta a carico della diminuzione delle nascite, circa settemila in meno rispetto all’anno precedente, infatti le morti diminuiscono di circa 4mila unità. La situazione va progressivamente peggiorando, nonostante le illusioni coltivate tempo fa di miglioramenti.
 
Ma l’immigrazione non può rappresentare una soluzione?
 
La popolazione aumenta complessivamente per il solo effetto delle migrazioni dall’estero, ma l’apporto dato alla natalità dalle donne immigrate non è più tale da controbilanciare quello delle italiane, perché anche loro iniziano ad allinearsi al comportamento delle nostre connazionali. Quindi l’immigrazione non è quella soluzione magica che alcuni credevano, anche sotto un altro profilo…
 
In che senso?
 
Il saldo migratorio registra un incremento di 380mila persone, tutto ciò pone problemi di integrazione di non facile soluzione anche in prospettiva di una popolazione italiana che va sempre più invecchiando e quindi è sempre meno flessibile ai cambiamenti.
 
Il Rapporto-proposta che sta per essere consegnato alle stampe quali luce dà agli ultimi dati dell’Istat?
 
Siamo ancora in tempo per intervenire ma bisogna prendere atto della realtà. Infatti attualmente si conferma la crisi accertata di formazione del capitale umano e di formazione dei nuclei familiari: i matrimoni vanno diminuendo, le date delle nozze sono spostate in avanti. Il valore della famiglia resta apprezzato dalla popolazione italiana, ma è sempre più vissuto con difficoltà. Sorgono forme di diversa natura: come matrimoni misti, famiglie ricostituite, convivenze, ma nonostante ciò il modello tradizionale classico rimane valido, è condiviso, segnalando però grosse difficoltà. Un’altra criticità è rappresentata dai giovani che restano nella famiglia d’origine, un fenomeno generalizzato tanto nell’Italia del nord che in quella del sud.
 
Ma come mai la fecondità delle donne italiane non riesce a scostarsi dal livello di 1,4, che è del tutto insufficiente a rimpiazzare la popolazione italiana?
 
Un segnale di sofferenza è il fatto che il numero di figli desiderati è ampiamente superiore a due. C’è una situazione in cui si vorrebbe avere una famiglia più numerosa con un secondo figlio, in qualche caso con il terzo. Nei fatti ci si ferma al primogenito, raramente si arriva al secondo. Questo è un altro dei segnali di sofferenza che emergono.
 
Ma se si passa dalla diagnosi alla terapia?
 
I punti critici sono la difficoltà di conciliare maternità e lavoro, il costo dei figli, un sistema di servizi ancora inadeguato. Questo non vuol dire che non ci siano esperienze interessanti e che non si siano fatti passi avanti in qualche caso, ma certamente siamo ancora lontani dal rispondere ai bisogni che la nostra società esprime a questo riguardo.
 
Allora che fare?
 
Come emerge nel Rapporto-proposta, una volta identificati i punti deboli, si devono indicare quali sono gli interventi politici e le esperienze che vi possono porre rimedio: ad esempio in campo fiscale il quoziente familiare o le sue varianti, servizi più adeguati, interventi di welfare familiare specificamente mirati ai nuclei con figli e non genericamente alle situazioni di povertà. L’intervento deve essere legato essenzialmente al contributo dato alla creazione del capitale umano.
 
Quindi qual è la richiesta fatta alla politica?
 
Si deve partire dalla considerazione che altri Paesi, come ad esempio la Francia, hanno comunque ottenuto dei risultati con degli interventi sostenibili. Quindi non si chiedono cose impossibili, si chiede di poter fare da noi ciò che viene fatto altrove. Si deve capire che l’investimento in capitale umano vale indipendentemente dalle posizioni politiche, è necessario se si vuole garantire la continuità al sistema Paese, è nell’interese di tutti. Si tratta, perciò, quindi di essere disposti a condividere i progetti di intervento in questo senso e anche i loro costi sociali.
 
Pier Luigi Fornari
Avvenire, 25 maggio 2011
 
 
ultimo aggiornamento 15/10/2015