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ultimo aggiornamento 15/10/2015
 Forum - Tutti i Forum - I Forum - Fede, libertà, intelligenza - Riflessione introduttiva 

Riflessione introduttiva   versione testuale

S. Em. Card. Camillo Ruini

Saluto tutti molto cordialmente e vi ringrazio per la vostra presenza.
La Conferenza Episcopale Italiana ripone molte attese in questo incontro, col quale si costituisce concretamente il "Forum" del "progetto culturale", ed è grata dell’adesione di ciascuno di voi e di non pochi altri che hanno aderito pur essendo impossibilitati ad intervenire oggi. Il progetto culturale ha cominciato a svilupparsi, attraverso tappe che vorrei ricordare brevemente. Dopo la prima proposta, al Consiglio Episcopale Permanente tenutosi a Montecassino nel settembre 1994, e l’Assemblea Generale della CEI del maggio 1995, dove sul progetto poterono riflettere insieme tutti i Vescovi italiani, il tema è stato ampiamente affrontato, rielaborato e rilanciato dalle diverse componenti della Chiesa italiana riunite, nel novembre 1995, al Convegno di Palermo. Un anno dopo, nel novembre 1996, un’ulteriore Assemblea della CEI dava il via ufficiale alla sua attuazione, mentre già nel settembre e ottobre precedenti tre seminari di studio, ai quali molti di voi hanno partecipato personalmente, approfondivano alcune problematiche essenziali, come la recezione del Concilio in Italia, l’antropologia cristiana in rapporto alle attuali espressioni della cultura, le possibilità della Chiesa italiana nell’ambito della comunicazione sociale.
Nel gennaio di quest’anno la Presidenza della CEI formulava e pubblicava "Una prima proposta di lavoro", che vi è stata inviata insieme all’invito al presente incontro. Contestualmente veniva costituito il Servizio nazionale per il progetto culturale, che oggi è ormai pienamente operante e al quale si deve anche il lavoro di organizzazione di questo nostro incontro. Il Servizio, tra l’altro, ha già avviato un’opera di collegamento tra i numerosi centri culturali di ispirazione cristiana presenti sul territorio. Si tratta chiaramente dell’inizio di un cammino, che come tale ha avuto scarsa eco nell’opinione pubblica - ad eccezione delle iniziative preannunciate nel cam po radio-televisivo -, mentre assai più consistente è l’attenzione e il coinvolgimento delle varie istanze ecclesiali. Ma per un lavoro serio e di lungo periodo su un terreno come quello del rapporto tra fede e cultura non serve la fretta né la ricerca di premature ribalte pubblicitarie.
In questo quadro, la costituzione del Forum e l’incontro di oggi rappresentano a loro modo uno specifico "inizio", per dare forma concreta e per quanto possibile stabile al dialogo e alla collaborazione tra credenti impegnati nelle diverse espressioni e articolazioni della ricerca intellettuale e della produzione artistica, e tra questi e i Vescovi: un dialogo e una collaborazione di cui non ho bisogno di illustrare a voi l’importanza. Nella "proposta di lavoro" che vi è stata inviata si trova una sintetica descrizione del progetto culturale, come "un processo teso a far emergere il contenuto culturale dell’evangelizzazione, anche quale apporto qualificato dei cattolici alla vita del Paese". E questa formulazione è accompagnata da molte, anche se condensate, indicazioni e precisazioni, sull’indole e sulle motivazioni del progetto, sulle sue dimensioni e articolazioni, ivi compresi il senso ampio e "antropologico" in cui viene usato il termine "cultura" e il significato dinamico e aperto che assume la parola "progetto". Mi è consentito perciò non appesantire queste mie parole introduttive ritornando su questi, pur indispensabili, chiarimenti. Preferisco azzardare qualche considerazione più personale, anzitutto in ordine alla genesi del "progetto" e alla prima problematica che dovremo discutere in questo incontro, quella della rilevanza culturale della fede oggi. Le due finalità del progetto culturale, quella dell’evangelizzazione della cultura e dell’inculturazione della fede e quella dell’apporto dei cattolici alla vita del paese, sono certamente interdipendenti e inseparabili, anzi in concreto fanno parte di un unico processo.
E tuttavia l’istanza da cui è nato il progetto cul turale fa riferimento alla prima di queste finalità in misura maggiore che alla seconda: non soltanto per una ragione di principio, che riguarda il primato dell’evangelizzazione nella vita e nella missione della Chiesa, ma anche per motivi di fatto, ossia per la nostra situazione storica, nella quale è messa in causa sempre più largamente e profondamente la fede stessa e quindi siamo chiamati a concentrarci anzitutto su di essa, che del resto, come ci ricorda la Gaudium et spes (n. 42), rappresenta insieme alla carità il contributo primo e decisivo che la Chiesa può dare alla vita sociale. Il progetto culturale vorrebbe dunque contribuire in primo luogo a quella che è stata chiamata la "cura della fede", in tutto l’arco del suo sviluppo fino alla forma compiuta della fede che dà testimonianza di sé. E a tal fine, senza dimenticare in alcun modo il carattere altamente personale del rapporto dell’uomo con Dio, anzi, avendo sempre di mira in ultima analisi la crescita di tale rapporto, il progetto intende farsi carico delle condizioni culturali e sociali entro cui la scelta della fede oggi concretamente si compie: restano fondamentali a questo riguardo le parole di Paolo VI nella Evangelii nuntiandi, là dove scrive che "occorre evangelizzare... in modo vitale, in profondità e fino alle radici, la cultura e le culture dell’uomo, ... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio" (n. 20). Circa i rapporti tra la fede cristiana e la cultura del nostro tempo, il Concilio Vaticano II ha costituito senza dubbio un fondamentale punto di svolta, preparato da lungo tempo ma affermatosi in maniera piuttosto repentina a livello di comune e "ufficiale" coscienza ecclesiale, specialmente in Italia.
Il Concilio infatti non soltanto ha preso atto della grande distanza, o "frattura", che separavano l’insegnamento e la prassi della Chiesa dalle forme culturali predominanti negli stessi paesi in cui il cristianesimo è radicato da molti s ecoli, ma ha anche assunto come proprio fondamentale programma il superamento di tale distanza, attraverso il dialogo e possibilmente l’incontro con tali forme culturali, certo a condizione di non rinunciare alla sostanza della fede cattolica. Nell’arco di tempo precedente, a partire dal secolo scorso, la Chiesa aveva già acutamente percepito quella frattura e quel contrasto, ma, almeno a livello di Magistero, aveva ritenuto di doversi prevalentemente attestare sulla difesa della verità cristiana e sulla critica delle radici stesse degli orientamenti culturali che la avversavano. Non è il caso, qui, di soffermarci su quel rinnovamento delle prospettive ecclesiologiche e più ampiamente teologiche che, nel Vaticano II, si lega profondamente con la nuova apertura al mondo. La proposta di un progetto culturale orientato in senso cristiano si colloca indubbiamente sulla scia del Concilio, ma è forse opportuno esaminare più da vicino come e dove essa si situa concretamente. Sappiamo bene infatti quale sia la portata dei cambiamenti intervenuti dal Vaticano II a oggi. Cambiamenti grandissimi a livello culturale, sociale e geopolitico, di organizzazione concreta della vita e di infrastrutture e tecnologie che la rendono possibile, come anche nei modi di sentire e nell’autocoscienza personale e collettiva: l’affermazione del Concilio che caratteristica fondamentale del mondo di oggi è la profondità e rapidità dei mutamenti (cfr. GS, 4-7) trova conferme continuamente crescenti.
Ma cambiamenti non piccoli si sono avuti anche nella vita della Chiesa, nella teologia, nella pastorale, nell’autocoscienza e nei comportamenti dei credenti. Proprio l’esercizio concreto del dialogo e i tentativi di incontro con le tendenze culturali via via prevalenti hanno mostrato quanto questa impresa sia difficile, possa ritorcersi - se condotta superficialmente - in un rischio per la fede e l’appartenenza ecclesiale, e in ogni caso richieda di scavare in profondità per affrontare molteplici mo di irrisolti. Così si è visto sempre più chiaramente come dal dialogo stesso emerga una radicale esigenza di evangelizzazione, in particolare di evangelizzazione delle culture e di inculturazione della fede. A soli dieci anni dalla sua conclusione, Paolo VI poteva scrivere che gli obiettivi del Concilio "si riassumono... in uno solo: rendere la Chiesa del XX secolo sempre più idonea ad annunziare il Vangelo all’umanità del XX secolo" (EN, 2).
E tutto il Magistero di Giovanni Paolo II ha un suo asse fondamentale nell’approfondimento del rapporto tra fede e cultura, fino alla duplice affermazione del Convegno di Palermo che "la cultura è un terreno privilegiato nel quale la fede si incontra con l’uomo" e che "il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio" (Discorso, nn. 3-4). Si aprono qui, ne siamo tutti consapevoli, degli spazi grandissimi - verrebbe da dire "troppo grandi" rispetto alle nostre forze e capacità - per la riflessione, la ricerca, l’individuazione e la proposta di possibili percorsi e risposte. Per questo attribuisco straordinaria importanza all’incontro di oggi, e soprattutto a ciò che potrà seguirne, nel breve e nel lungo periodo, nei diversi ambiti e secondo le molteplici metodologie di indagine e di realizzazione, da quelle che si interrogano sui fondamenti del sapere a quelle che cercano di cogliere e interpretare la realtà quotidiana dei comportamenti della gente, fino alle strategie della comunicazione e alle creazioni della letteratura e dell’arte. Non perché da questo incontro possano uscire miracolosamente moltiplicate le nostre energie e risorse, o quasi che solo ora cominciassimo ad operare seriamente, quando invece noi stessi, e moltissimi altri che non sono qui, siamo impegnati da tempo in quella fermentazione cristiana della cultura che è incominciata ben prima di noi. E tuttavia se si potranno realizzare convinte e durature sinergie fra noi, credenti di diverse competenze e professiona lità, Vescovi e teologi, senza dirigismi o limitazioni della libertà incompatibili con la cultura autentica, penso che saremo tutti incoraggiati e stimolati ad operare con maggiore fiducia e forse anche con risultati complessivi più rimarchevoli. Senza entrare nel merito degli interrogativi indicati nel nostro "foglio di lavoro", vorrei ora accennare ad alcune condizioni che appaiono indispensabili per la fecondità, e al limite la possibilità stessa dell’impegno nell’inculturazione della fede ed evangelizzazione della cultura. Riprendo in proposito le parole pronunciate 35 anni fa da Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio: "dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione, ... lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo...".
Il contesto nel quale parlava allora Giovanni XXIII era certamente assai diverso dal nostro, anche riguardo alla "serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa": ormai da alcuni decenni molteplici spinte, sia di ordine intellettuale sia provenienti dal vissuto della gente, sembrerebbero esigere un rinnovamento di ben altra radicalità, che metta in causa la dottrina ritenuta "certa ed immutabile", e non solo su punti periferici. Ma proprio qui, se vogliamo costruire e non distruggere, il nostro atteggiamento deve essere, nella sostanza, quello stesso di Papa Giovanni e di tutta la grande tradizione cattolica. Occorre, in particolare, liberarci dal sospetto che l’adesione alla verità della fede paralizzi in qualche modo lo slancio dell’intelligenza e le possibilità della ricerca. È piuttosto vero il contrario, cioè che fondandoci su questa verità - sempre più grand e di noi - possiamo più e meglio interrogarci, capire e costruire, a cominciare dalla comprensione della fede stessa. In concreto, l’interpretazione e fermentazione cristiana della cultura, per essere autentica e per non ribaltarsi nel suo contrario, ha bisogno di questo vigore e solidità dell’intelligenza e coscienza credente.
E poiché nella fede è in gioco tutta la persona, nella sua libertà e nel mistero del suo rapporto con Dio, siamo messi tutti, radicalmente e senza eccezioni, quale che sia il nostro ruolo nella Chiesa e nella società, davanti alla nostra fragilità e però anche alla grandezza della nostra vocazione di discepoli di Gesù Cristo. Una cultura orientata in senso cristiano può nascere ed essere alimentata soltanto da persone e comunità che corrispondano a questa vocazione, mentre reciprocamente la presenza di un tale contesto culturale favorisce la maturazione di coscienze credenti. Per essere davvero proponibile, un "progetto culturale" orientato in senso cristiano presuppone, d’altronde, quella fecondità della fede riguardo alla cultura che la storia ha confermato lungo tutto il cammino del cristianesimo e che Giovanni Paolo II ha espresso con parole particolarmente vigorose in un non dimenticato discorso al MEIC del 16 gennaio 1982: "una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta". Se vogliamo esplicitare il fondamento di tale fecondità, veniamo - a mio avviso - inevitabilmente rimandati al significato e alla centralità dell’evento di Gesù Cristo, come sono attestati già nel Nuovo Testamento e poi lungo l’arco della tradizione cristiana, per essere ripresi in grande stile dal Concilio Vaticano II. In Cristo, infatti, ci è data un’interpretazione di Dio e dell’uomo, e quindi implicitamente di tutta la realtà, che è così pregnante e dinamica da potersi incarnare nelle più diverse situazioni e contesti storici, mantenendo al contempo la sua specifica fisionomia, i su oi elementi
essenziali e i suoi contenuti di fondo.
Declinare nella storia – per noi nelle vicende concrete dell’Italia di oggi – questa interpretazione cristiana dell’uomo e della realtà è quindi un processo mai compiuto, e così aperto, ramificato e dinamico da poter intercettare una cultura e una società fortemente pluralistiche, il loro rapido divenire, le molteplici articolazioni del sapere e del sentire, dell’operare e del produrre: dalle più impegnative domande teoretiche al vissuto attuale della gente e alle interpretazioni che essa dà di se stessa. E’ questo l’orizzonte entro il quale il "progetto culturale" vorrebbe muoversi. Esso, dunque, non ha nulla a che vedere con tentativi di arroccarsi o di tornare indietro, non rappresenta un ostacolo a quella libertà e pluriformità che è essenziale per lo sviluppo di qualsiasi discorso culturale. Può far crescere, invece, le capacità di discernimento cristiano e la consapevolezza che ogni pluralismo, anche di tipo culturale, non può essere per i credenti un dato assoluto e senza limiti, ma deve sempre rapportarsi ai contenuti essenziali della fede, con ciò che essi implicano per l’interpretazione, teorica e pratica, dell’uomo, della vita e della realtà.
Riguardo alle possibilità di realizzarsi che questi obiettivi, indicati più o meno felicemente con l’espressione "progetto culturale", hanno in concreto nella situazione attuale dell’Italia, mi permetto un’affermazione che suonerà forse sorprendente: l’Italia, e in essa i cattolici, sono in condizioni particolarmente favorevoli – quantomeno rispetto ad altri paesi che appartengono ad un contesto socio–culturale in qualche misura analogo – per poter condurre avanti con buone prospettive un impegno di questo genere. Le parole altamente stimolanti che Giovanni Paolo II ci ha rivolto in molte occasioni, in particolare nella lettera ai Vescovi italiani sulle responsabilità dei cattolici (n. 4) e poi al Convegno di Palermo (n. 8) – "Sono convinto che l’Italia come nazione ha molto
da offrire a tutta l’Europa... All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo" –, sottendono un giudizio semmai ancora più positivo, e più impegnativo, sulla nostra realtà.
Il nostro paese conosce certamente tutte le problematiche, le difficoltà e le insidie con cui deve fare i conti la grande area socio–culturale dell’Occidente, riguardo ai temi fondanti della verità e dell’eticità e ai processi di scristianizzazione tuttora largamente in atto. Anzi, da noi alcuni problemi, come ad esempio quello della cosiddetta "etica pubblica" e quello della crisi demografica, possono presentarsi particolarmente acuti e minacciosi. E però in Italia esiste ancora, in buona misura, un cristianesimo di popolo, la Chiesa è vitale e vicina alla gente e nel complesso è stata ed è assai meno travagliata che in altri paesi da crisi interne. Ed ora non sono pochi i segnali di un suo nuovo dinamismo missionario, rivolto anzitutto all’Italia stessa. Da noi dunque si possono mettere alla prova le opportunità di una rinnovata e non rinunciataria inculturazione del cristianesimo.
La stessa fase di transizione che il nostro paese sta attraversando, nel contesto di una situazione europea e mondiale anch’essa in forte movimento, non pone soltanto gravi problemi davanti a noi – come quelli dell’assetto istituzionale, dell’economia, dell’occupazione, della formazione e preparazione dei giovani, e finalmente di una prospettiva comune per la quale meriti stare insieme ad impegnarsi –, ma apre larghi e nuovi spazi di presenza, riflessione, proposta e testimonianza, per dei cristiani che sappiano guardare avanti e che sentano forte la responsabilità per il paese al quale appartengono.
Nel dire questo non vogliamo essere ingenui ed illusi, non perdiamo di vista le difficoltà che ha attraversato la presenza dei cattolici in Italia, specialmente ma cer
to non esclusivamente sul versante politico, e che sono ancora ampiamente presenti. Osserviamo però che esiste una sproporzione fra il radicamento sociale e la vitalità di iniziative che il cattolicesimo ha in questo paese e le sue capacità di influsso culturale, prima che politico. Il "progetto culturale" vorrebbe servire ad uscire da questa condizione, non certo per coltivare ambizioni di egemonia, storicamente improponibili ed estranee a una Chiesa nel cui "codice genetico" è ormai entrata la Dichiarazione del Concilio sulla libertà religiosa, ma per dare più pienamente al paese quel contributo che ci è spesso richiesto anche da chi parte da un’ispirazione diversa, oltre che per non rimanere prigionieri di quella "sindrome di subalternità", o di semplice gioco di difesa e reazione, che spesso ha caratterizzato la presenza culturale dei cattolici. Proprio così il progetto culturale potrebbe essere di aiuto per superare, a un livello non superficiale o, vorrei dire, "di cortesia", ma seriamente e nel rispetto delle convinzioni di ciascuno, quegli "steccati" di non comunicabilità che in Italia in parte ancora dividono cattolici e "laici".
Il dialogo che verrà così ad incrementarsi non potrà non estendersi a quelle domande che contano più di tutte le altre, nella vita di una persona come di una comunità e di un popolo. E perciò, in quanto credenti in Cristo, nel dialogo stesso avremo lo spazio e sentiremo il bisogno di rendere la nostra testimonianza. In realtà, proprio la "forma testimoniale" che il dialogo può assumere ci consente la più grande apertura all’ascolto e alla comprensione delle ragioni di ognuno, senza restare impigliati nei silenzi di comodo o nel conformismo.
La via della testimonianza è anche essenziale perché il nostro impegno e coinvolgimento di cristiani non resti confinato ai margini della vita reale, ma si radichi e si sviluppi nel concreto di essa, dall’attività professionale alla famiglia a ogni altro spazio nel quale poniamo in gioco noi
stessi: solo così possiamo veramente generare cultura orientata e qualificata in senso cristiano. Spesso viene riconosciuto a merito della Chiesa e dei cattolici di essere protagonisti nell’ambito della solidarietà, o dell’agápe, per usare la parola originariamente evangelica. Penso sia tempo di puntare, con umiltà ma con coraggio, ad una presenza parimenti significativa sui terreni della libertà e dell’intelligenza: essi sono infatti altrettanto congeniali a chi crede davvero che l’uomo e la donna sono fatti a immagine di Dio (cfr. Gn 1,26–27). Le tre tematiche proposte all’attenzione di questo "Forum", come oggetto possibile di un lavoro comune, sono state scelte anche avendo di mira un obiettivo di questo genere.
Il tipo di contributi al progetto culturale – caratterizzati dalla ricerca, dalla diffusione del sapere e dalla produzione artistica – che con il nostro "Forum" confidiamo prenda avvio, si inserisce, come sappiamo, in una trama più ampia, che abbraccia la pastorale ordinaria della Chiesa e la vita quotidiana di ciascun credente, in quanto ciascuna di queste dimensioni ha un’importanza determinante ai fini dell’evangelizzazione e inculturazione. È stimolante per tutti noi sentirci impegnati in un’impresa comune dove, come dice il Concilio, vige "diversità di ministero ma unità di missione" (Apostolicam actuositatem, 2) e dove, naturalmente, devono essere rispettate l’indole specifica e la legittima autonomia dei singoli ambiti di impegno e le responsabilità proprie di ciascuno. Il fatto che la CEI si sia fatta promotrice del "progetto" non deve quindi far sorgere timori di clericalizzazioni indebite.
Ma vi è anche una più specifica unità, all’interno del progetto culturale, che mi sembra assai significativa e promettente: quella espressa concretamente da questo Forum, dove sono riunite persone che operano nei più diversi campi della conoscenza e dell’arte, ivi compreso evidentemente il sapere teologico. Il nostro odierno incontrarci, e gli sviluppi che
potranno seguirne, implicano che il riferimento alla fede cristiana fornisca una chiave interpretativa in qualche misura comune, nella diversità degli oggetti specifici delle nostre ricerche. Penso utile aggiungere in proposito le parole pronunciate da Giovanni Paolo II all’Università di Bologna il 18 aprile 1982: "Poiché la ragione può cogliere l’unità che lega il mondo e la verità alla loro origine solo all’interno di modi parziali di conoscenza, ogni singola scienza – compresa la filosofia e la teologia – rimane un tentativo limitato che può cogliere l’unità complessa della verità unicamente nella diversità, vale a dire all’interno di un intreccio di saperi aperti e complementari".
Il Verbo "che era presso Dio" e che è "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,1.9), ci renda partecipi di questa sua luce e pertanto capaci di vera forza innovativa, per penetrare più profondamente nei segreti di quella realtà di cui Egli stesso è l’artefice. Grazie del vostro ascolto e buon lavoro.
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