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ultimo aggiornamento 15/10/2015
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Identità nazionale, identità locali ed identità cristiana   versione testuale

Servizio nazionale per il progetto culturale

Il tema riprende, fondamentalmente, una tematica viva nel dibattito del nostro Paese ed anche più volte affrontata dal Papa in messaggi e discorsi ai vescovi d'Italia o in assise ecclesiali. Più recentemente sia nella Lettera ai vescovi del 6 gennaio 1994 che nel discorso del 23 novembre 1995 all'Assemblea ecclesiale di Palermo, egli ha fatto appello alla responsabilità del popolo italiano perché eserciti quel ruolo specifico nell'Europa e nel mondo che gli deriva dalla "triplice eredità" di fede, di cultura e di unità nazionale (la quale ultima, al di là, della configurazione politica maturata nel secolo scorso, è radicata nella coscienza degli italiani anche in forza di una tradizione di fede cristiana e di una storia culturale informata dal cristianesimo).
Nella sua preghiera per l'Italia, in vista dell'appuntamento di fine millennio, egli chiede a Dio che i cattolici italiani sappiano "conservare l'eredità di santità e civiltà propria", abbiano l'umile forza di "convertirsi nella mente e nel cuore per rinnovare la società" e imparino a "guardare le vicende umane con occhi puri e penetranti". C'è in queste parole del Papa l'affermazione non tanto implicita di un nesso intimo, per l'Italia, nella sua unitaria dimensione nazionale e nelle sua ricca e variegata realtà di comunità locali, tra identità civile e identità cattolica, frutto di una storia singolare. L'appello alla responsabilità non è che una conseguenza di tale nesso: i cattolici italiani sono invitati ad assumere il compito che deriva per essi da questo particolare nesso. Significativamente il Papa esplicita immediatamente il suo appello con l'indicazione di alcuni ambiti della vita della nazione che sembrano attualmente richiedere una più vigile attenzione e un più deciso impegno dei cattolici: le spinte disgregatrici dell'unità nazionale, la preoccupante crisi morale, la perdita diffusa del senso di legalità, e, al fondo, lo "smarrimento dei valori umani e morali fondamentali" che, come osserva lo stesso Giovanni Paolo II, "ben difficilmente si mantengono nel vissuto quotidiano, nella cultura e nella società, quando viene meno o si indebolisce la radice della fede in Dio e in Gesù Cristo". Secondo queste ultime parole del Papa, non si tratta, dunque, per i cattolici italiani, semplicemente di fornire un'animazione etica della società, di fare cioè della Chiesa un'agenzia di valori in una società che sperimenta la drammatica assenza di saldi ancoraggi etici, e quindi di ridurre la funzione del cristianesimo a quella di una "religione civile"; ma piuttosto di riattingere la "radice" che è la fede in Cristo, riscoprendo le esigenze della vocazione cristiana e, perciò, riuscendo a ridire il Vangelo e ridare una credibile testimonianza di fedeltà evangelica. Non a caso il Papa parla di "conversione".

Riflettere su come possa ancora oggi essere creativamente rivissuto lo storico nesso tra identità civile e identità cristiana, nella vita della nazione ed, anche, per tanti versi alla sua base, nelle comunità locali ai livelli regionale e, prima ancora, comunale, appare, con tutta evidenza, di grande importanza. Si tratta di sintonizzarsi con l'appello del Papa ma, anche, di riprendere criticamente una tematica che, seppure del tutto accantonata o comunque accostata con diffidenza nei decenni più recenti, è stata continuamente e variamente oggetto di analisi, lungo tutta l'età contemporanea, dal secolo scorso ad oggi, sia nel pensiero cattolico che nella cultura laica, e che oggi sembra riemergere con particolare forza ed anche in buona parte priva di quei condizionamenti ed equivoci che spesso, nel passato, ne hanno determinato letture strumentali.
Una tale ripresa critica di una tematica così importante ed anche così delicata e complessa si impone, del resto, oggi, alla Chiesa italiana, per l'esigenza di un confronto, da un lato con il dibattito attualmente in corso sull'unità nazionale e su possibili riforme di tipo federale e, dall'altro, con il fenomeno dell'emergere di localismi che, prevalentemente, non sembrano affatto indirizzarsi alla formazione di aggregazioni intermedie regionali o macroregionali ma piuttosto tendono ad appiattirsi sulle identità territoriali minute. Quest'ultimo fenomeno merita grande attenzione non solo per i suoi risvolti di contestazione dell'unità nazionale di stampo leghista ma anche e primariamente perché è radicato nella storia italiana che da secoli ha, tra i suoi "caratteri originali", il policentrismo e il localismo (rafforzato, negli ultimi decenni, almeno in alcune zone del paese, da un nuovo dinamismo economico: si pensi ai distretti industriali tipo Biella, Prato, Fermo e al caso del Nord-Est) ed anche perché si lega in qualche modo o, almeno, ha un corrispettivo nella tradizionale connotazione "locale" della Chiesa, derivante dalla sua articolazione diocesana, ed anche in quel più recente fenomeno di rivitalizzazione della Chiesa locale che, dopo il Vaticano II, sembra avere restitituto anche un certo peso e un nuovo ruolo sociale alla comunità ecclesiale nelle realtà territoriali.
Si tratta, dunque, di coniugare, ancora oggi, secondo modalità nuove e creative, l'identità cristiana con l'identità nazionale e le identità locali; e, in tal modo, di ricreare il nesso e una rinnovata circolarità tra i tre poli di identità. Riattivare una tale circolarità è questione di grande importanza per la Chiesa ma anche per la società italiana tutta. In fondo, porsi il problema del nesso possibile ed auspicabile oggi in Italia tra identità ecclesiale e identità civile (nella sua configurazione nazionale e nella sue realtà locali) significa interrogarsi sul senso e sulle modalità attuali di una presenza responsabile, intelligente e feconda della Chiesa e dei cattolici nel nostro paese.
É una riflessione che, per la sua stessa importanza, non può esaurirsi in alcune circostanze speciali, quali gli stessi messaggi del Papa o gli autorevoli interventi di personalità ecclesiastiche nelle periodiche grandi assise di cattolici, e non può essere confinata nel dibattito che, ad ondate, interessa studiosi e specialisti della ricerca storico-politica, ma richiede una certa continuità di riflessione e un coinvolgimento ampio di componenti ed anche sensibilità diverse del cattolicesimo italiano, non temendo ed anzi valorizzando approcci e prospettive molteplici e variegate. Una riflessione e un coinvolgimento, dunque, che raggiungano le concrete articolazioni pastorali, le quali, però, ovviamente non escludano ma anzi si avvalgano dell'apporto di studiosi e ricercatori.
Da un lato, si impone di far emergere la memoria storica, di ricollegarsi cioè consapevolmente alla vicenda di una presenza - quella della Chiesa e dei cattolici - che non è stata affatto infeconda o insignificante nella storia dell'Italia, come nazione e come realtà territoriali, e che, anche quando non si riproponeva direttamente ed immediatamente di contribuire alla vita della nazione e delle città e regioni, ne ha rappresentato uno dei fattori più efficaci di interna coesione e di crescita sociale e culturale (si pensi al significato di iniziative, tra le altre, di tipo educativo ed assistenziali quali quelle di un don Bosco o un don Orione). É una vicenda che affonda nei secoli e si è sviluppata secondo una complessiva continuità che ha raggiunto e attraversato, con connotazioni nuove e modalità diverse, tutta l'età contemporanea. Ricostruire criticamente, cioè con i metodi della ricerca storica, l'apporto dei cattolici alla vicenda della società italiana non è fare opera apologetica ma coltivare la memoria di una storia di cui si è portatori ma da cui si è, prima ancora, portati.
Dall'altro, non ci si può non confrontare con le emergenze attuali, misurare con le sfide del momento, interrogare sul rapporto con le altre componenti culturali e religiose della nazione nell'attuale quadro pluralista, porre, anche, la domanda se la vicenda del movimento cattolico - che ha mediato e realizzato una significativa e incisiva presenza dei cattolici nella vita del paese, a livello nazionale e locale - possa ritenersi sostanzialmente conclusa o non possa aprirsi ancora a sviluppi secondo modalità nuove.

La riflessione secondo queste due fondamentali direttive - riappropriarsi della memoria e confrontarsi col presente - dovrà essere corale e aperta ed esprimersi in molti momenti e sedi "locali" (regionali ed anche diocesane o interdiocesane), in cui si potrà approdare a proposte diverse, secondo le diverse sensibilità e i diversi approcci, anche se si imporrà, in un ulteriore momento a livello nazionale, lo sforzo di una sintesi o, almeno, della elaborazione di linee comuni.
 
ultimo aggiornamento 15/10/2015