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 Progetto Culturale - Punto di vista - Speranza, legalit?, amore 

n° 142 - 26 giugno 2014

Speranza, legalità, amore

 

Per capire la questione    

 

La scomunica e la speranza. La violenza e il bene. L’adorazione del male e del denaro e l’educazione delle coscienze. La ‘ndrangheta e una Chiesa che la combatte. Ma che deve fare di più, soprattutto per rispondere alle richieste dei giovani. Il messaggio di Papa Francesco è come sempre chiaro e diretto. Proprio come in occasione dell’incontro coi familiari delle vittime della criminalità organizzata, quando chiamò i mafiosi alla conversione «altrimenti l’inferno è quello che vi aspetta». Ora la parola è ancor più netta. Il Papa «preso quasi alla fine del mondo», non ha esitazioni a nominare la mafia italiana oggi più globalizzata, quella che proprio dall’America Latina trae ormai la sua primaria ricchezza attraverso una decisiva partecipazione al “monopolio” della cocaina. «La ‘ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune», scandisce. Un male che «va combattuto, allontanato, bisogna dirgli di “no”». Una condanna senza attenuanti, che si fa scomunica. La condanna della non–cultura mafiosa, di un modo di vivere che strappa vite e speranza. Del delirio di chi, come il boss Leoluca Bagarella, arrgoga a sé il potere di «decidere della vita e della morte», perché «io sono come Dio».
Tutto questo è condannato, tutto questo mette fuori della comunione ecclesiale. Ma non è la condanna degli uomini che sbagliano, perché anche i mafiosi possono salvarsi. «Dio mai condanna, ma perdona e accompagna», torna a spiegare nel carcere di Castrovillari, davanti anche ad esponenti delle cosche. Parole che fanno seguito a quelle dell’appello del marzo scorso: «Convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio». Poi, però, davanti ai 250mila delle Piana di Sibari, le parole sono diventate pietre.
Parla di ‘ndrangheta che usa «violenza» contro «la vostra bella Calabria», papa Francesco. E il messaggio è totale, va oltre i confini di questa regione, di questo terra martoriata «dal peccato, dall’interesse personale, dalla sopraffazione».  Sicuramente l’incontro in carcere coi familiari del piccolo Cocò, vittima innocente di una feroce violenza, ha lasciato il segno nel cuore di Francesco: «Mai più, mai più a un bambino» ha ripetuto. Così come accadde nell’incontro di Giovanni Paolo II coi genitori di Rosario Livatino prima della famosa “invettiva” della Valle dei Templi di Agrigento. E dopo quel “verrà il giudizio di Dio», dopo le parole di Benedetto XVI sulla «mafia incompatibile col Vangelo», ora la scomunica dei mafiosi. Solenne, forte tanto quanto l’invito alla rivolta morale e civile, a combattere il male. La Chiesa fa già tanto in Calabria e su tutti fronti del contrasto alle mafie. Il Papa cita il “Progetto Policoro” della Cei, per l’imprenditorialità giovanile al Sud. Un’iniziativa che proprio in Calabria vede tanti bei segni di speranza e di cambiamento, come la cooperativa Valle del Marro che nella Piana di Gioia Tauro coltiva i terreni confiscati ai boss, simbolo ed esempio di lavoro pulito e di testimonianza.
E certo sa dei tanti sacerdoti che, lontano dai riflettori, guidano e accompagnano sulla via del riscatto le loro comunità. Segni importanti, perché come diceva un grande prete calabrese, don Italo Calabrò, «col coraggio dei pastori la gente ritrova il proprio coraggio». Storie e persone positive. Ben altro rispetto a quello che alcuni vorrebbero far credere, descrivendo sempre una Chiesa silente o, peggio, complice. Non ultime le infelici affermazioni di un magistrato, sicuramente coraggioso e impegnato contro la ‘ndrangheta, come Nicola Gratteri, che ha addirittura parlato, proprio alla vigilia del viaggio in Calabria, di un Papa e di una Chiesa meno efficaci su questa frontiera. Non c’era nulla da smentire, c’è tanto da realizzare. E Papa Francesco lo chiesto con le parole e coi fatti. Perché si può e si deve fare di più. Monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio, lo aveva detto a sua volta salutando il pontefice, con un coraggioso sprone a quella « Chiesa che alle volte rallenta il suo passo», e che è chiamata a «risvegliare le coscienze » perché è del sonno delle coscienze «di cui si nutre la ‘ndrangheta, non solo dei soldi». Il confine è posto. Giustizia, speranza, legalità, diritti, amore cristiani. Per la Calabria, per un’Italia che davvero si liberi da chi fa e adora il male. Mafiosi, e non solo.
Antonio Maria Mira

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