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 Progetto Culturale - Punto di vista - La prima domanda 

n° 138 - 22 maggio 2014

La prima domanda

 

Per capire la questione    

 

«Chiediamoci, dunque: chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia?». Se c’è un pun­to focale del discorso del Pa­pa ai vescovi italiani, è questo: il riproporre la do­manda prima, l’aut aut che interroga ogni cri­stiano nel chiedersi chi davvero è per noi, quel­l’uomo. Nel chiedersi se per noi la verità è Lui o se prevale la verità secondo il mondo.
Suvvia, potrebbe obiettare qualcuno, dei vescovi avranno ben chiara in sé e per sempre la risposta alla domanda del Papa... Dei vescovi non sono ra­gazzi alla Prima Comunione. E allora perché Fran­cesco ha posto questa domanda al primo punto del primo discorso di un Vescovo di Roma in a­pertura di un’Assemblea generale della Cei? For­se perché quella non è una domanda, ma 'la' do­manda che sfida dalla giovinezza alla morte ogni cristiano. Il mondo, attorno, è così forte e concre­to, e governato da tutt’ altre logiche; ma noi affer­miamo di credere a uno che disse di sé: io sono la via, la verità e la vita. La drammaticità e la smisu­rata gioia della fede sta nella risposta che anche implicitamente diamo, ogni mattina, a questa do­manda. Noi, semplici credenti, e anche i vescovi, che sono uomini come noi.
Così che il Papa, e con un accento di affetto pa­terno, prima di tutto ai pastori della Chiesa italia­na ha detto: «Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo e della storia; facciamo spazio alla sua presenza in noi: è Lui il principio e il fon­damento che avvolge di misericordia le nostre de­bolezze e tutto trasfigura e rinnova; è Lui ciò che di più prezioso siamo chiamati a offrire alla no­stra gente». Ciò che di più prezioso. Il vero tesoro. Perché, ha aggiunto il Papa, «i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Si­gnore ». Lo sguardo fisso in Cristo, e il resto come conse­guenza di quello sguardo. Una fedeltà che, nel­l’oggi, si declina per Francesco nella attenzione alle più vistose emergenze: la famiglia, la disoc­cupazione e la povertà, e i volti dei migranti che bussano rischiando la vita alle porte d’Italia e d’Eu­ropa. (Passaggio epocale, pressione inesorabile della storia che si incarnava, ieri, in quei cento bambini alla deriva nel Mediterraneo).
E la Chiesa italiana, ha riflettuto ieri il presidente della Cei, cardinale Bagnasco, dalle parole del Pa­pa si è sentita «presa per mano». Messa in guar­dia da quella sorta di smemoratezza che noi cri­stiani sfidiamo ogni giorno, in quell’ aut aut che chiede: ma la verità, dunque, qual è? E, se si ten­tenna su questo punto, cominciano fra noi, ha detto Francesco «le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce inti­me delusioni, la durezza di chi giudica senza coin­volgersi... ». Cose di uomini, cose che tutti cono­sciamo bene, e che anzi oggi paiono voler travol­gere il nostro Paese. 
Proprio in questo frangente la Chiesa italiana si è sentita ri­chiamata da Francesco, ha detto Bagnasco, dentro la «vi­vente tradizione» che lega parole di Paolo VI, scritte 50 anni fa eppure attuali, e parole di Roncalli e di Wojtyla, e di Benedetto XVI: che nella “Caritas in veritate” definì la verità e la carità «la prin­cipale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e del­l’umanità intera». Ha ricordato, Bagnasco, quanto la Chiesa ita­liana fa per i migranti, e l’opera delle migliaia di Centri d’Ascol­to, «vere frontiere sul territorio», presi d’assedio da poveri vecchi e nuovi. Ha ricordato la difesa che la Chiesa fa della famiglia, del suo nucleo fondante e della educazione di figli. Ha detto, in­somma, l’ampia rete di un fare silenzioso e tenace, di una trama di solidarietà di antica matrice cristiana che resiste, e opera.
Ma questo bene, parte da uno sguardo. Dalla fedeltà a quell’uo­mo storicamente per noi così lontano. Tutto comincia, e rico­mincia mille volte nella vita dei semplici cristiani come dei ve­scovi, dallo «sguardo fisso in Cristo». Dalla memoria e dall’espe­rienza di quell’incontro, che imprevedibilmente, secondo un’al­tra logica, genera. Aveva iniziato il suo intervento, il Papa, parlando della terza ap­parizione di Cristo ai discepoli, sul lago di Tiberiade. A quell’al­ba in cui confusamente Pietro e gli altri lo riconobbero, senza però osare quasi pronunciarne il nome. (Pietro, poi, che per tre volte aveva tradito).
Ma alla fine Cristo gli disse solo: «Seguimi». L’ultima parola di Cri­sto a Pietro, ha sottolineato Francesco, è quel «Seguimi». «Mi ha sempre colpito – ha detto – che Cristo dicesse semplicemente co­sì ». E, ha aggiunto sorridendo mentre l’assemblea aspettava il di­scorso, «Io vorrei andarmene con questo messaggio soltanto...». Con la Parola che conta e che resta. Con l’essenziale. 

Marina Corradi, Avvenire, 21 maggio 2014

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